di Paolo Evangelista – Ingegnere esperto in Biomeccanica applicata ed autore del libro, già bestseller, “PowerMechanics for Power Lifting”, Sandro Ciccarelli Editore.
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Un aspetto interessante delle mie discussioni con Ado Gruzza è che spesso dal confronto emerge che abbiamo dedotto le stesse conclusioni sullo stesso argomento, pur avendo formazioni del tutto diverse. Ado è un tecnico, un allenatore, un profondo conoscitore del mondo della forza, ha costantemente sotto mano un campione umano variegato che riesce a far migliorare. Tutti i ragazzi che si allenano con Ado migliorano, dai casi umani ai campioni internazionali che ha costruito. Io sono una specie di nerd che adora allenarsi, misurare, studiare, trovare materiale scientifico per i miei allenamenti, ho a disposizione me stesso e pochi altri
Accorgersi di aver avuto la stessa idea o essere arrivati alle medesime conclusioni per percorsi del tutto differenti a mio avviso denota che queste idee debbano avere qualcosa di valido. Ad esempio, l’uso della fatica come stressor, cioè aumentare il volume di ripetizioni a parità di carico in certe fasi dell’allenamento in modo che l’atleta debba reagire alla fatica indotta dal volume stesso, concentrandosi sulla tecnica. Oppure, ed è l’oggetto dell’articolo, “l’attrezzatura rende più tecnici”.
Nel Powerlifting sotto la International Powerlifting Federation (IPF) è consentito l’uso di particolari maglie per la panca e corpetti per squat e stacco, a cui si aggiungono le fasce per lo squat. Questo abbigliamento è definito come attrezzatura o gear e le gare di Powerlifting in cui gli atleti la usano sono dette geared, a differenza di quelle dove non è consentito e che sono dette raw. Esiste di conseguenza una precisa normativa che regolamenta ognuno degli oggetti menzionati.
Sebbene agli albori questo abbigliamento avesse scopo protettivo dato dall’effetto contenitovo, oggi chi lo usa ha come unico obbiettivo quello di sollevare più carico. Dato che questo aumenta considerevolmente, moltissimi non amano questo tipo di Powerlifting che viene considerato un “barare” rispetto alle reali possibilità fisiche dell’atleta, ma “barare” significa non rispettare un regolamento comune, e non è questo il caso.
Il punto fondamentale che andrebbe compreso è che tutto il carico aggiuntivo va guadagnato perché sfruttare le capacità di ritorno elastico di questo abbigliamento necessita all’atleta di sviluppare ulteriori abilità motorie rispetto a chi non lo usa. Se cioè è vero che le fasce permettono un incremento di carico anche di 70 kg, per ottenerlo non basta metterle come ben sa chi le abbia mai provate: la prima volta l’unico effetto è quello di schizzare in avanti o indietro e di fallire l’alzata.
L’atleta deve pertanto sviluppare delle capacità di controllo sotto carico che sono superiori a chi non utilizza questi oggetti e che poi rimangono nel momento in cui l’attrezzatura viene tolta. Utilizzo non a caso il termine “superiore”, perché penso che sia proprio così ma a questo punto l’atleta raw si sente punto sul vivo. Non è così, né è una gara a chi è più bravo: il Powerlifting attrezzato è, appunto, più “tecnico” perchè certe individualità devono essere maggiormente controllate. Nella mia brevissima esperienza con questi oggetti ho proprio sperimentato questo: la necessità di maggior controllo.
Il problema dell’utilizzo dell’attrezzatura è che necessita di compagni di allenamento che faranno da spotter, aiutanti per indossare questi mezzi, impediranno infortuni da caduta, rendendo più difficile allenarsi proprio perché diventa sempre più necessaria una “squadra”. Tutti i ragazzi che conosco e che si sono messi insieme hanno ottenuto risultati eccellenti, a dimostrazione che per fare sport ci vuole un gruppo, che se è vero che Internet aiuta tantissimo, c’è poi un limite a tutto questo.
Internet è una enorme fonte di conoscenza, perché la comunicazione fra le persone diffonde le informazioni. Ringrazio perciò Luigi Merusi che su Training People ha postato un link relativo ad blog dove si commentava uno studio sullo squat con le fasce, senza di lui non avrei potuto recuperare questo materiale, che è abbastanza raro dato che analisi di questo tipo non ce ne sono.
Ho letto questo studio con molto interesse ed in questo articolo lo commenterò. Il punto è che saranno delle critiche, perché lo studio non mi è piaciuto. Vorrei che fosse chiaro che le critiche sono relative ai contenuti, non alle persone e so benissimo quanto impegno ci voglia per realizzare uno studio, scrivere l’articolo, farlo revisionare e modificarlo sulle indicazioni dei revisori.
La critica è qualcosa di sconosciuto nell’ambiente del fitness/bodybuilding ed in generale “palestra” ed è sempre vista come negativa: il guru di turno non accetta mai di essere criticato. Questo perché la critica… punge, ma è solo con la critica sui contenuti che c’è veramente metodo scientifico. Io esporrò perciò le mie critiche sui contenuti, perché mi sembra giusto farlo anche se non sono un ricercatore, non sono nel mondo universitario, non ho voce in capitolo. Se c’è qualcuno a cui non piaceranno, lo invito a replicare con altrettanti contenuti, ne avremo tutti dei benefici.
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Ecco [1], “Indossare le fasce condiziona l’output meccanico e le caratteristiche della performance dell’esercizio di back squat”del 2012 per il Journal of Strength And Conditioning Research. I ricercatori hanno fatto fare a 10 soggetti degli squat senza e con le fasce, secondo questo protocollo.
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I soggetti avevano un massimale di squat di 160 kg medi con una deviazione standard di 18 kg, e negli ultimi 6 mesi non dovevano aver avuto problemi alle gambe. Per avere un’idea di come si usano le fasce, ecco le foto dell’articolo.
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Le traiettorie del centro del bilanciere sono state digitalizzate e sono state poi studiate per vedere le differenze. Nell’articolo sono stati analizzati molti parametri come potenza, velocità in discesa e risalita e spostamento orizzontale del bilanciere su cui si sono concentrati i ricercatori. Al di là dei numeri, mi hanno incuriosito questi due grafici.
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Sono le traiettorie del centro del bilanciere fra uno squat senza fasce, in alto, e uno con le fasce, in basso: notate come siano molto differenti. Ecco due estratti del testo dello studio, ovviamente vi prego se vi interessa di leggere l’originale e non fidarvi mai di nessuno, nemmeno di me, perché qualsiasi articolo che analizza un articolo è sempre un sapere per mezzo di terze persone, cioè c’è un filtro.
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“Un improbabile risultato di questo studio è stata la relativamente grande riduzione (39% nella fase di discesa, 99% nella fase di risalita) dello spostamento orizzontale del bilanciere quando le fasce sono state indossate.”
“Improbabile” in questo contesto è che non pensavano che fosse probabile rilevare questo risultato: i ricercatori hanno notato che lo spostamento orizzontale è decisamente più contenuto con le fasce, al di là delle differenti velocità di discesa e risalita. Nella discussione dei risultati affermano:
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“Indossare le fasce altera la tecnica del back squat in modo tale che ci porta a credere che (a) può essere compromesso lo sviluppo di una muscolatura bilanciata della parte inferiore del corpo e (b) che la combinazione della posizione del corpo osservata quando le fasce sono indossate e la barriera fisica nella parte posteriore delle ginocchia possa compromettere l’integrità dell’articolazione del ginocchio. Inoltre proponiamo che le fasce non dovrebbero essere indossate nell’allenamento per la forza e che se un atleta sente di aver bisogno di un ulteriore supporto per le ginocchia, l’integrità dell’articolazione va accuratamente considerata e trattata piuttosto che affidarsi ad un ausilio artificiale che può esacerbare ogni problema sottostante.”
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In pratica le conclusioni di questo studio sono: la distanza indicata in figura diminuisce fra squat senza fasce e con le fasce e questo è “male” perché è una alterazione del movimento “normale” e così può creare problemi alle ginocchia. Le fasce cioè inducono una variazione di tecnica che è negativa per la qualità del movimento. Non concordo assolutamente con questa posizione.
Prima di andare avanti, vorrei fare una piccola digressione con una citazione che mi ha colpito.
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“Troppo spesso ho il sospetto che sprechiamo un sacco di tempo, afferriamo l’ombra e perdiamo la sostanza, ed indeboliamo la nostra capacità di interpretare i dati e di prendere decisioni ragionevoli, qualsiasi sia il valore di P. E troppo spesso noi deduciamo “nessuna differenza” da “nessuna significativa differenza”. Come il fuoco, il test del chi quadro è un eccellente servitore e un cattivo maestro”
E’ di Sir Austin Bradford Hill, professore emerito della Università di statistica medica di Londra, tratta da [9] del 1965 dove vengono descritti quelli che si chiameranno, in seguito, criteri di Hill. Per farla breve: come hanno fatto a definire che le sigarette provocano il cancro, cioè che ci sia un nesso causale fra fumo e cancro? Con i metodi di Hill che era uno statistico. Ciò che caratterizza una persona competente da una che non lo è risiede proprio nella capacità di gestire le sue informazioni trovando soluzioni pratiche e spendibili, senza farsi fregare, lui stesso, dalla “scientificità”.
Con i criteri di Hill si sono sgamate le fesserie sul latte e l’osteoporosi, sulle scie chimiche, sul ruolo di certi prodotti e alimenti nell’alimentazione umana. Perché sono un “framework” decisionale che permette di selezionare le informazioni corrette oppure no per capire il nesso fra causa ed effetto. Un lavoro di una robustezza unica.
Già nel 1965 Hill notava, e denunciava (è il senso della citazione), che si stava perdendo la capacità di interpretare i dati, tutti presi nel dedurre il valore statistico degli stessi: la famigerata P, il chi quadro che è un test di significatività che erano indispensabili per poter essere accettati dalla comunità scientifica, ma semplici strumenti. I dati vanno guardati, ci si deve ragionare sopra, ok che debbano essere “precisi” ma i dati servono per fare ipotesi, dare indicazioni, avere intuizioni, aprire delle strade.
Tutto questo dal 1965 è solo peggiorato: studi e studi che sono oramai confezionati allo stesso modo, con il solito gergo, che però non dicono di fatto nulla, non aggiungono nulla, i dati sono significativi ma l’interpretazione di questi è carente, sbagliata, con ipotesi che sono piccoli passetti rispetto a quello che si sa ma nella direzione anche sbagliata. Come in questo caso, dove i ricercatori a fronte dei dati non sono riusciti a trovare alcuna interpretazione significativa, appiattendosi sui test di significatività e su ipotesi che sono solo “principio della cautela”, come vedremo.
Per essere pratici e, forse, comprensibili. In tutti gli studi troverete i dati espressi in termini di valori medi e di deviazioni standard, questo secondo parametro indica quanto il campione si discosta dalla media. Bene. Vediamo in questo caso.
Ci sono 10 soggetti che hanno un massimale di squat di 160 kg con una deviazione standard di 18,4 kg. Scopo del ricercatore è capire, lui stesso, il significato di questi dati. Per prima cosa, 160 kg di massimale è “poco”, cioè stiamo parlando di persone che si trovano in palestra, atleti o quant’altro. Già così potremmo concludere, senza andare avanti, che per questi soggetti non ha nessun senso mettere le fasce, pertanto lo studio è di per se inutile perché non fornisce alcuna indicazione. Se dovessi pagare due team per fare questo studio e uno mi portasse uno squat medio di 160 kg e l’altro di 200 kg, pagherei il secondo.
La deviazione standard indica una dispersione intorno alla media. Inutile però ficcarcela dentro perché è richiesta, perché “altrimenti lo studio non me lo accettano” se poi non si è capaci di interpretarla. Il ricercatore ha chiaro che la deviazione standard è un parametro che richiede una statistica di tipo Gaussiano? I dati si distribuiscono a campana? 10 soggetti sono sufficienti per avere una gaussiana?
Ok, ho fatto due simulazioni molto rozze: il campione di individui dello studio può essere composto, ad esempio, di 10 persone che hanno un massimale di squat fra 130 kg e 190 kg, cioè un campione molto disperso. Al di là del rapporto con il peso corporeo, il carico assoluto comunque qualifica le abilità dei soggetti: uno da 130 kg a 70 kg è molto più scarso di uno da 190 kg a 110 kg perché il bilanciere è “pesante” e questo si capisce solo maneggiandolo e comprendendo che comunque per tirare su 190 kg è necessario non solo essere “forti” ma anche “tecnici”.
Immaginate invece un gruppo di 10 soggetti con massimale di squat da 190 kg a 210 kg. Sarebbero tutti molto più simili fra se, e così gli effetti delle fasce sarebbero simili anch’essi fra se, fornendo informazioni migliori. In questo caso la deviazione standard sarebbe di 6,3 kg.
Cioè:
- Team 1: campione 10 soggetti, media 160 kg, deviazione standard 18,4 kg
- Team 2: campione 10 soggetti, media 200 kg, deviazione standard 18,4 kg
- Team 3: campione 10 soggetti, media 200 kg, deviazione standard 6,3 kg
I soldi i se lo prende il team di ricerca n°3 perché ha il miglior campione di studio. I dati vanno interpretati. In questo caso hanno scelto il classico campione scarso.
Adesso dobbiamo comprendere se le fasce creino problemi alle ginocchia, come scritto.
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Sebbene semplificate, nel disegno le forze esterne e muscolari che agiscono sul ginocchio: le forze esterne vengono compensate e superate (perché l’atleta si muove per risalite) dalle forze muscolari.
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Nel disegno, le principali forze che possono danneggiare il ginocchio, generate dal complesso delle precedenti: il femore comprime la tibia, la rotula si schiaccia contro il femore. Queste forze sono compressive e sono tipiche di tutte le articolazioni: derivano, semplicemente, dal loro uso e non possono così essere considerate dannose. Ciò che può essere dannoso è un eventuale eccesso.
Nello squat le forze che agiscono sul crociato anteriore sono praticamente nulle anche se può sembrare strano: [2] fornisce un buon modello qualitativo sulle forze nello squat, mostrando come sia proprio l’angolo di chiusura che permette di non utilizzare il crociato anteriore. Aneddoticamente, ho visto un video di una persona con un crociato anteriore rotto che faceva squat sotto il parallelo con 130 kg. Le forze sul crociato posteriore sono assolutamente gestibili da un legamento sano mentre quelle sui legamenti collaterali sono irrilevanti in condizioni normali e non patologiche. Possiamo tranquillamente affermare che il successo nello squat sia dovuto ad un po’ di “culo genetico” dato che ciò che veramente lo impedisce sono varismi o valgismi estremi, rotule piccole o fatte male o disallineate con l’asse longitudinale del femore.
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Ecco, di fatto, quello che dicono i ricercatori dello studio: l’articolazione con le fasce subisce uno stress che ne può minare l’integrità perché le fasce schiacciano la rotula sul femore, aumentando attriti, compressione patellofemorale, creando degli spessori non presenti senza. I ricercatori affermano questo solo sulla base di quello che si chiama “principio della cautela”: non ho elementi per dire se una cosa fa male, ma dato che provoca una variazione rispetto alla norma, è meglio ipotizzare che questa variazione faccia male. Il principio della cautela è sacrosanto, ma è come aver paura del buio: non è il buio a far paura, ma quello che ci immaginiamo ci sia nel buio.
Esistono statistiche che confrontino la percentuale di infortuni alle ginocchia nello squat eseguendolo con o senza le fasce? Ma certo che no! Come è possibile averle… via… (le avete? Ditelo!!! Le leggiamo insieme). Perciò, principio della cautela. Ma non conosciamo nulla del “fenomeno fasce”? Analizziamo cosa abbiamo a disposizione.
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Ho calcolato i valori di questi istogrammi usando i dati in [4], [5], [6] che sono studi inerenti gli infortuni nel Weightlifting e nel Powerlifting competitivo. Come potete osservare, se nel Weightlifting le ginocchia sono la sede degli infortuni per il 19,1% del totale delle casistiche, questa incidenza crolla a meno della metà, 8,7%, nel caso del Powerlifting. Chi fa Powerlifting usa le fasce, chi fa fa Weightlifting non le usa. Eppure i dati mostrano che i secondo hanno in percentuale più infortuni dei primi proprio alle ginocchia.
Gli studi di riferimento sempre citati per sostenere che lo squat non faccia male alle ginocchia sono [7] e [8] e sono citati come posizione ufficiale della Ricerca: lo squat è definito safe e healty per le ginocchia. Senza entrare nel dettaglio di questi studi, sono stati presi in considerazioni modelli e dati relativi a chi fa squat ai limiti estremi dei carichi, cioè atleti del Powerlifting, che di sicuro utilizzano le fasce per le ginocchia.
Possiamo pertanto inferire, cioè trarre una conclusione da un insieme di fatti o circostanze (il che non è una dimostrazione certa ma una conseguenza logica derivante dalle informazioni a disposizione) che se le fasce facessero così male alle ginocchia, ne avremmo avuto una rilevazione proprio dagli studi citati. Di conseguenza possiamo se non altro affermare che non c’è nessun elemento per affermare con certezza che le fasce possano fare male alle ginocchia.
Per quanto riguarda il cambiamento della traiettoria del bilanciere senza e con le fasce, i ricercatori deducono delle condizioni errate perché errato è il presupposto che li guida. Partono cioè dall’accettazione assiomatica che la tecnica dei soggetti senza fasce sia quella corretta, pertanto qualsiasi alterazione del pattern motorio non può che essere errata. Uso il termine “assimatico” perché questa loro supposizione è a priori, non dimostrata, a meno che non si definiscano i termini di uno squat “corretto” e uno “sbagliato”.
E se invece lo squat senza fasce del campione studiato fosse errato e con le fasce fosse giusto?
Ado Gruzza da molto tempo afferma un concetto che ho sempre sposato in pieno: l’uso delle fasce, dei corpetti, delle maglie da panca nel Powerlifting eleva il tasso tecnico. Tradotto in questo caso: con le fasce devi fare lo squat meglio.
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Ho riportato sulla stessa scala le traiettorie: detesto quando i grafici non hanno la stessa scala, è un errore di chi analizza i dati, l’ho visto fare in alcune presentazioni aziendali con figure fecali epocali perché quella che era una enorme variazione invece alla fine era una caccola. Il cambio scala è un errore da principianti oppure un modo per strumentalizzare i dati, non ci sono altre spiegazioni.
Come si vede, le due traiettorie sono molto differenti, quella con le fasce, a destra, è veramente ristretta. Ovviamente, sarebbe necessario controllare le traiettorie dello stesso soggetto con e senza fasce, ma nelle didascalie dello studio non è indicato a chi si riferiscano. Ho ricalcato con le splines di PowerPoint le due forme e le metto a confronto con dati a mia disposizione.
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A destra la traiettoria dei 300 kg di squat con le fasce eseguiti da Francesco Pelizza al corso istruttori FIPL 2013 e che io ho avuto l’onore di digitalizzare. Francesco è un atleta d’elite e mi ha così fornito dei dati da atleta d’elite: 300 kg di squat a 110 kg di peso corporeo sono una prestazione di livello internazionale (non che si vince un Campionato Europeo, però di sicuro si fa la propria sporca figura), perciò Francesco lo squat lo sa fare. Ora, quale traiettoria delle due dello studio è più simile a quella di un atleta d’elite? A questa ovvia conclusione ci arriva chiunque.
Sapete quanti studi ci sono che confrontano la traiettoria del bilanciere di atleti cinesi, svedesi, russi? Zero. E quanti studi ci sono che confrontano la traiettoria di “recreative lifters” con atleti d’elite? Zero. Questo è il problema.
Molto spesso non c’è bisogno, di una definizione di “giusto” o “sbagliato” di tipo top-down, stile matematico perché richiede di definire a priori il “giusto” o lo “sbagliato” dicendo il perché. Molto spesso invece una ottima guida è l’approccio bottom-up, cioè osservare ciò che accade, dato che accade non è che si può discutere su questo, e se accade possiamo considerarlo “giusto”. In questo modo si circoscrive l’analisi identificando perché quel fenomeno deve, necessariamente, essere “quello giusto” perché altrimenti non accadrebbe. Per essere pratici, i ricercatori dovrebbero se non altro partire da questa posizione: la traiettoria di “quelli forti” è quella “giusta”, per il semplice motivo che la fanno quelli forti. Poi, successivamente, chiedersi cosa significa “giusta” ma se non altro partire da un modello che è quello di gente “forte”.
A questo punto si dovrebbero porre il problema del perché il modello di “quelli forti” è anche “quello giusto”, ma anche qui si tratta, banalmente, di osservare, provare, e ragionare.
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In questi disegni una discesa nello squat. La traiettoria è più o meno inclinata, e si può anche dimostrare perché sia così, però semplificando in maniera estrema: se le chiappe vanno indietro, la testa va in avanti, e alla fine il bilanciere scenderà seguendo se non una linea inclinata quanto meno una linea verticale verso il basso. Confrontate le discese delle traiettorie dello studio, senza e con le fasce i tizi scendono seguendo una linea verticale verso il basso, leggermente inclinata.
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I disegni rappresentano qualitativamente il significato delle traiettorie digitalizzate nello studio: a sinistra i bilancieri nelle posizioni inferiori dello squat, a destra in due punti alla stessa profondità in risalita. Del resto quelle sono le traiettorie di bilancieri…
Adesso provate a disegnare degli omini fatti con 3 segmenti, schiena, cosce, gambe: disegnateli con le stesse lunghezze, prima nelle posizioni a sinistra sotto il bilanciere, poi nelle posizioni a destra. Dopo provate a dire chi lo fa meglio e chi lo fa peggio lo squat.
Ok, ci provo anche io…
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A destra ho ruotato i segmenti che sono sempre gli stessi, sotto ho messo a confronto i segmenti delle schiene.
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Se non ci credete, provateci voi è interessante. Comunque ci proviate, con le fasce la schiena è più dritta, senza fasce è più inclinata. Attenzione: non è che senza fasce la schiena è più inclinata, è che i tizi senza fasce facevano squat con la schiena più inclinata che con le fasce! Detto in altre parole, se in risalita il bilanciere si sposta anche in avanti, mi sembra evidente che tutto quello che c’è attaccato si sposti in qualche modo seguendo il bilanciere stesso, no? Sarei curioso di vedere i video del prima/dopo, guarda un po’… Abbiamo perciò aggiunto un piccolo tassellino: con le fasce i tizi hanno tenuto la schiena più eretta, il che è “bene”.
Se chiedeste ad un allenatore quale sia il motivo per cui le fasce fanno eseguire lo squat in maniera differente, vi direbbe che basta provare: le fasce amplificano qualsiasi cosa voi facciate, nel bene e nel male. Amplificano i kg che potete sollevare, amplificano i vostri pregi e i vostri difetti. Se mentre risalite andate in avanti, le fasce vi ci porteranno ancora di più, e cappotterete. Se invece non lo fate, la spinta sarà tutta verso l’alto.
Questo è l’effetto delle fasce, cioè è un effetto MIGLIORATIVO perché creano una traiettoria più obbligata in un percorso definito. Io ho semplicemente riscritto quello che gli allenatori sanno da sempre e che è opposta a quella dello studio.
Il mondo della Ricerca potrebbe avvantaggiarsi di un patrimonio di conoscenze ed esperienze immense, eppure non lo fa. Questo studio ne è una dimostrazione, dato che come diceva Hill non c’è stata la capacità di interpretare i dati.
Sebbene l’articolo sia stato molto lungo e anche molto pesante, ho preferito dettagliare tutti i passaggi logici per arrivare alle mie conclusioni. Manca il tassello finale per completare il quadro: fornire una spiegazione del perché con le fasce la traiettoria è più obbligata in un certo percorso. Ma è possibile affrontare il problema solo se si arriva a questo punto, liquidando tutte le questioni accessorie che distrarrebbero.
Ok, perché allora la traiettoria è più obbligata in questo (beep) di percorso? Se siete arrivati a leggere questa frase, sarete anche in grado di pazientare fino al prossimo articolo.
Bibliografia
[1] – Wearing knee wraps affects mechanical output and performance characteristics of back squat exercise – Lake et alii – Journal of Strength And Conditioning Association, 2012
[2] – The effects of knee wraps on weightlifting performance and injury – Hartman et alii – Journal of Strength And Conditioning Association, 1990.
[3] – Hip extension, knee flexion paradox: A new mechanism for non-contact ACL injury – Hashemi et alii – Journal of Biomechanics, 2011
[4] – Injury Incidence And Prevalence among Elite Weight And Power Lifters – Raske, Norlin – The American Journal Of Sports Medicine – 2002
[5] – Retrospective injury epidemiology of one hundred one competitive Oceania powerlifters: the effects of age, body mass, competitive standard and gender – Keog et alii – Journal of Strength And Conditioning Association, 2006
[6]- Injuries and overuse syndromes in powerlifting – Siewe et alii – International Journal of Sports Medicine, 2011
[7] – Knee biomechanics of the dynamic squat exercise – Escamilla et alii – Medicine and science in sports and exercise, 2001
[8] – Effects of technique variations on knee biomechanics during the squat and leg press – Escamilla et alii – Medicine and science in sports and exercise, 2001
[9] – The environment and disease: Association or causation? – Hill – Proceedings of the Royal Society of Medicine, 1965