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IL (RELATIVAMENTE) BREVE ED INFREQUENTE RUSSO: STIAMO SCHERZANDO?

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di Ado Gruzza

Un approccio fantastico alla modalità infrequente, che cambierà il vostro modo di vedere l’allenamento rarefatto.


 

Spesso trattiamo della Russia in queste pagine e devo chiarire per i meno svegli: il punto non è che qui c’è un gruppo di fanatici della restaurazione del soviet supremo e della pianificazione quinquennale! Tutt’altro.

La cosa è molto semplice:

il sistema allenamento (ripetere giova) sviluppato in alcuni paesi dell’est, quelli in cui era più predominante la cultura della pesistica olimpica basata su qualità, esplosività e metodo distribuito, ha dimostrato una superiorità assoluta di risultati e di approccio teorico.
Non c’è nessuna preferenza culturale: in Russia l’allenamento della forza viene dall’atletica pesante, mentre nei paesi occidentali dal bodybuilding e dal fitness.
E questo si sviluppa a volte penosamente anche nella preparazione atletica, nel lavoro per le arti marziali (tantissimo) e nelle metodologie della pesistica.
Ovviamente le cose stanno cambiando e ci sono tantissime nuove scuole molto interessanti anche nei paesi occidentali. Di fatto, però, quella mole di conoscenze figlie delle guerra fredda ha ancora troppe chicche da svelare per non prestarci attenzione, rischiando di sembrare un po’ maniacali.

Approfitto in più della mia passione per lo scartabellare in mezzo al cirillico e col fatto di aver capito come tradurre e dove andare a cercare le cose interessanti. Mi risulta facile estrapolare ancora prodotti molto interessanti. Tanti ne ho nel cassetto che uso nella quotidianità di trainer, altri ancora saranno presentati al livello expert del prossimo corso FIPL. Sessantacinque anni di grande scuola non si spiegano in un attimo.

Parlando di novità: credo che le nuove grandi risorse sulla metodologia vengano oltre che dalla stupefacente Norvegia, in grandissima parte dalla scuola cinese. Però sinceramente al mandarino non ci arrivo, ancora. Di fatto però, tutte i grandi pensatori della pesistica convergono almeno su un punto: lavoro, lavoro, lavoro.

Anche in USA si iniziano a leggere elaborati molto interessanti. Però la strada è ancora lunga e in questa prima fase ancora molto influenzata dal metodo russo. L’ultimo articolo sulla periodizzazione che ho letto su Elitefts, forse il più bell’articolo in materia che abbia letto in quella sede, risulta profondamente ed inevitabilmente influenzato dalle logiche Sheykistiche. Cosa ci vuoi fare? Il mondo dei pesi è andato in quella direzione. Sarebbe forse giusto dare il merito a chi ci è arrivato per tempo.

Non è certo una gara USA vs URSS e non lo è mai stata, che idiozia!

Se è una gara lo è tra una logica “della prima impressione e dell’idea facile” contro una logica “razionale della fisiologia applicata” all’organismo dell’atleta. Per questo l’idea norvegese (che a meno di sconvolgimenti geopolitica non è di cittadinanza russa) ci piace tanto. Ecco perché atleti come Brian Siders. quello che ha detto non puoi sentirti un professionista se ti alleni 4 ore alla settimana, li consideriamo così eccezionali.

Perché c’è un approccio intenso e razionale, privo di semplificazioni e di formulette: perché chi non capisce la complessità degli eventi è sempre destinato a sparare stronzate. Così nella scienza dello sport, così in politica (cosa tipica degli estremismi la semplificazione) così in una azienda o al bar con gli amici.

Sicuramente questa nuova presa di coscienza farà nascere prodotti ancora più avanzati e logiche ancora più vincenti dell’originaria. Basta che chi si adopera abbia nella testa concetti come: METODO, DISCIPLINA, E RIGORE.

 

 

IL METODO

Ora parliamo di questo metodo relativamente Breve, relativamente intenso ed infrequente. Questo metodo, gioco forza, non è il mio ideale assoluto. Se parlo con l’acquolina alla bocca della scuola cinese, non faccio lo stesso per questa tipologia allenante.
Però questo approccio mi ha colpito, e credo che in un ottica di chi si avvicina all’allenamento della forza, o chi chiede nuovi stimoli, possa avere risvolti davvero intriganti. Per di più trovo che sia una importante evoluzione dei metodi brevi mischiando

a) logiche del distribuito;

b) idee del westside;

c) metodo infrequente.

In più è BIR: breve intenso e russo. Volete mettere?

Un’altra premessa d’obbligo: non abbiamo, come AIF, nessunissima polemica col mondo dell’allenamento infrequente. Non si deve confondere le discussioni di un docente con la posizione di un gruppo. L’ultima volta che ho fatto polemica con il mondo dell’allenamento Natural ero ai primi anni dell’università e adesso ne ho trenta tre.

Tra l’altro se prendiamo la cosa alla lettera (Natural UGUALE contro l’uso del doping) avrei la presunzione di sentirmi un esponente di questo movimento, forse anche con qualche onorificenza in più di tanti che hanno sempre la parola Natural in bocca e poi combinano poco o niente.

Prendo atto delle tesi che si dicono, a volte mi diverto leggendo certe posizioni, però difficilmente vedrete schierami e schierarci: troppo diverse sono le mie letture, troppo lontana la mia attenzione rispetto al mondo del fitness. Ora sinceramente mi interessa altro, non credo sia interessante parlare di 3 x 6 o 3 x 8 mancando una serie di considerazioni fondamentali alla base. Né bene né male, solo non mi interessa, e questo ormai da anni.

 

ROGOZHNIKOV

Innanzi tutto il signor Rogozhnikov, uno dei protagonisti del nostro scritto, non allena in IPF. Per chi mi conosce un minimo, questo lo declassa di 100 punti almeno.
In più pur allenando in una federazione dove il doping non solo è ammesso ma pure molto consigliato (quelle che spesso spregiatamente sono chiamate federazioni circo, non senza ragioni tra l’altro) costui parla di overtraining ad ogni passo.
Ecco, dalle premesse non sembra un genio sceso in terra, eppure, alla faccia dei preconcetti mi sono messo in pista ad approfondire un po’ questa metodologia. Chi ama la roba stile Elitefts dovrebbe adorare questo autore.

Kostantin Rogozhnikov, come in tutti i metodi BREVI e INFREQUENTI sulla scia di Mc Robert crede potentemente nell’intensità di carico. Però a differenza di Stuart MCR sviluppa una modulazione dell’intensità che rende lo sforzo percepito estremamente più gestibile.

Diciamo una cosa che ai meno esperti potrebbe apparire paradossale: entro certi livelli, normalmente, nelle federazioni in cui il doping è tollerato e appoggiato la frequenza media settimanale degli atleti è assai più bassa.

In pratica, dove sono molto aiutati chimicamente non è raro vedere solo 3 sedute a settimana. Rarissimo evento nella federazione internazionale ufficiale di powerlifting, cioè l’IPF. Questo a me risulta molto ovvio e molto evidente per diverse ragioni. La prima è che il concetto di overtraining e stress da sovraccarico non è stato molto compreso. Abituarsi ad una buona frequenza di lavoro (con tutti i vantaggi che questa porta) è la cosa più semplice del mondo. Un Natural può allenarsi tutti i giorni, ho molti più dubbi che possa fare serie a cedimento totale anche solo una volta a settimane recuperando e migliorando nel lungo periodo.
La prima volta che usate un Kettlebells vi vengono le vesciche. Se lo usate una volta a settimana per 1 ora vi verranno sempre le vesciche. Se lo usate tutti i giorni per 20 minuti vi verranno i calli e non sentirete più niente. Più o meno, funziona sempre così.

Su questa scia Razhgolnikov è molto preoccupato del recupero e per questo ha ideato un procedimento di questo tipo:

P, L, M, L, P e cioè: pesante, leggero, medio, leggero, pesante.
In pratica nel protocollo di R. le sedute sulla singola alzata sono alternate in questa maniera.

 

 

Prendiamo la panca piana ad esempio:

P. Il ciclo di allenamento inizierà con una seduta P, cioè pesante.

La seduta pesante consiste nel fare 3 serie dalle 5 alle 6 ripetizioni. Il carico deve essere limite, cioè nelle tre serie l’atleta deve tararsi in modo da arrivare ad utilizzare un carico che lo spinga davvero al limite all’ultima serie delle tre. Massimo sei minimo cinque ripetizioni.

L. Dopo cinque o sei giorni è il momento dell’allenamento L, leggero. E qua si vede l’influenza (molto positiva) della scuola russa.
L’allenamento leggero di panca piana sarà composto da tre serie da dieci ripetizioni con il 65 o 70% del miglior carico utilizzato nell’ultima seduta P. Alte ripetizioni per curare tecnica ed esplosività. Cominciamo a ragionare.

M. L’allenamento successivo sarà quello M, medio. L’allenamento medio risente fortemente dell’influenza delle logiche del Westside Barbell. Questo è molto naturale vista la vicinanza di federazione in cui questi atleti gareggiano. Del Westside, Rogozhnikov, prende davvero il meglio: FORZA SPECIALE. Quindi elastici, catene, board, variazione di prese e di angolazione della panca piana. Tutto per le canoniche 6 o 8 serie da 3 ripetizioni con carichi molto gestibili.

L’allenamento successivo sarà, secondo programma un altro allenamento leggero, cui seguirà, dopo tutto questa manfrina, l’altro allenamento P, sempre con 3 serie molto pesanti da 5 o 6 ripetizioni, sempre con carichi prossimi al limite, dove l’atleta proverà a battere, e di brutto, il proprio PR!

Insomma il trainer chiede ai suoi atleti di spingersi al limite e oltre, però seguendo la massima di Vorobyev, che si ricorderà chi è stato al corso istruttori FIPL 2012, sostiene che l’atleta sia facilitato nel completare un allenamento massimale se questo è seguito e preceduto da allenamenti di intensità leggere e medie. L’alternanza dei carchi è un concetto molto, molto sovietico e molto ma molto interessante.

Non male vero? Così pensare ad un lavoro smaccatamente pesante, diventa assai più stimolante.

Complementari?
Secondo scuola westside, Rogozhnikov, fa fare soprattutto lavoro sul gran dorsale (latissimus dorsi) e tricipiti. Quello che è interessante è che il numero di ripetizioni è estremamente elevato. Cosa che credo non essere una brutta idea per i complementari. Tanto lavoro sulle braccia fino a 20 o 25 ripetizioni. Insomma, lavoro duro poi pompaggio. TANTO VOLUME. Per cui questi metodi sono si infrequenti ma relativamente brevi.

Lo squat e lo stacco da terra sono fatti nella stessa seduta, con più o meno le stesse logiche. Tre da sei il giorno pesante, tre da dieci il giorno leggero, e lavoro speciale il giorno medio per lo squat.
Lo stacco da terra è lavorato con meno ripetizione e (forse) forzando un po’ troppo la mano sul lavoro dai blocchi. Perché in questi ambienti molto spesso si perde di vista questione motoria a favore dello sforzo muscolare immanente. Tanto lavoro di Hyperextension per far recuperare i muscoli della bassa schiena e pochissimo lavoro per i quadricipiti, come poco pettorale nell’allenamento della panca piana.

Alla fine il risultato potrebbe essere questo:

 

 

Badate bene che ho trovato versioni ancora più rarefatte. In cui una settimana a 3 sedute e una settimana a due. Buttate giù uno specchietto dilatando ancora di più le sedute.

In questo schema appena reinterpretato da chi vi scrive, notiamo che tra una seduta con carichi limite e l’altra passano non meno di 25 giorni, una all’inzio e una alla fine del mesociclo.
Questa dilatazione dei tempi sembra al mio occhio essere molto razionale, perché il cedimento DAVVERO consuma. L’importante è che tra un training pesante e l’altro esista qualcosa, ci sia allenamento, le fibre vengano stimolate comunque.

 

 

Questo approccio trovo che sia molto molto moderno ed intelligente. Non sarà mai il mio metodo preferito però credo che dia alcuni spunti su cui riflettere:

a) dilatare le sedute di grande stress per il sistema;

b) usare le altissime ripetizioni come rigenerazione;

c) alternare i carichi;

e) superare la pianificazione lineare tipica dei metodi cosiddetti natural.

Ci sono anche tante cose che per me sono un limite come:

a) la distribuzione muscolare dei complementari;

b) eccessiva rarefazione degli stimoli.

Però questo è un metodo INTELLIGENTE e RAZIONALE. Questo mi sembra il vero Brawn 2.0 perché raccoglie in se decenni di esperienze di chi i pesi li ha fatti e li ha pure fatti bene.

Credo che potrebbe essere una spina dorsale per i prossimi training degli appassionati dei metodi infrequenti. Anche un ponte mentale per avvicinarsi a cosa più complesse e più frequenti, che continuo a ritenere più efficaci.

Insomma, di qualunque pasta o qualunque bandiera porti, quando una cosa è intelligente, mi piace.

Buon Natale.


LA VERSIONE DI KIRK: DA CHEN JINKAI AL PIÙ AVANZATO APPROCCIO AI SOVRACCARICHI AL MONDO

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A cura di Teo Kirksman

Traduzione di Ado Gruzza

 

ESCLUSIVA AIF – PUBBLICATO PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA

 

Un nuovo ed inedito articolo di Kirksman Teo, in esclusiva per AIF! L’articolo è davvero ricco di spunti, intuizioni e modalità d’approccio che saranno sviluppate al prossimo seminario tecnico sulla scuola Cinese, il 4 maggio presso Crossfit Bicocca a Milano.

L’approccio ha un che di zen, l’idea della sensazione (che trovo perfettamente coerente con le mie esperienze) e la struttura mentale della forza come concetto complesso sono tutt’altro che banali. Nello sviluppo della giornata\seminario troverete degli spunti pratici di approccio alla pianificazione che sono sicuro non potrete fare a meno di correre a casa e provare a sviluppare per vostro conto. Anche perché non sarà unicamente incentrata sulle alzate olimpiche ma sarà sviluppata allo strength training in generale. Powerlifting compreso.

Mi ha fatto un grande piacere notare come a distanza di migliaia di chilometri, da culture diametralmente opposte, si sia potuto raggiungere una consapevolezza simile e un approccio simile al carico. L’idea di approccio cinese, me lo trovo molto cucito addosso, per la maniacalità dell’attenzione all’equilibrio, per la cura del movimento complesso come complementare, per la ricerca delle sensazioni e per l’idea generale di approccio alla strutturazione del programma.

Buona lettura.

 

Awesome day with Italian powerlifters learning about weightlifting methods employed by the Chinese coaches. Very interesting and I like how the great training systems of the world are VERY similar in principle despite the sport. – Mike Tuchscherer (Medaglia d’Oro nel Powerlifting ai World Games del 2009 a Kaohsiung nella categoria Uomini + 100 Kg, in foto il secondo da destra; in basso il tecnico Ado Gruzza e, a sinistra, il maestro Teo Kirksman).


Questo articolo è basato sulla vincente Metodologia Cinese, che ha proiettato la Cina nel gotha assoluto della pesistica mondiale.

Devo ringraziare innanzi tutto il mio ex allenatore, coach Wu per tutte le informazioni che ha condiviso con me e per la maniera in cui mi ha insegnato ad analizzare e comprendere le informazioni presentate.
Devo ringraziare anche  Malaccan, governo di una regione Malaysiana, che ha deciso di importare un così magnifico allenatore in Malesia.

Ora entriamo in questo sistema per capitoli. Lo scrivo nella maniera più semplice possibile. Non leggete tutto questo frettolosamente.
Analizzate parte per parte quello che vi sto per dire, perchè è assai complesso veicolare tutto il messaggio.

 

Volontà.

Quando vi allenate, trovatevi un partner. C’è questo modo di dire: il 51% del lavoro è nella testa. E questo a spiegare il senso della volontà e il suo significato.

Quando ti approcci ad una persona che ti piace, hai un tipo di stimolo, quando a qualcuno che non ti piace il tuo approccio, la tua volontà di interfacciarsi all’altro è differente.

In allenamento occorre la giusta volontà, quindi, varcando i cancelli della palestra devi avere strutturate tutte le migliori intenzioni per gli obiettivi d’allenamento di quel particolare giorno. Se è un giorno tecnico, non andare lì con la voglia di vedere quanto pesante puoi spingere. Attieniti al piano. Sii paziente.

E cosa fare se non ti senti di allenarti quell particolare giorno? Dillo a qualcuno, di che farai un tonnellaggio X a un peso Y o qualunque cosa di specifico. Fatti un video e mostraglielo. Trova un escamotage perché tu, proprio, non possa saltarla quella seduta.

Allunga il warm ups. Fai qualche passaggio innovativo e stimolante per completare la giornata.

 

Partners.

Hai bisogno di un partner con cui sfidarti. In quelle giornate già citate in cui non si ha nessuna voglia di allenarsi, capita che un tuo amico entri dalla porta o quella ragazza carina e improvvisamente, in tuo cervello riorganizza la tua volontà favorevolmente verso l’allenamento. Questo è il potere del compagno d’allenamento.

Se puoi trovatene uno. Se qualcuno che non è al tuo livello, concedi al tuo amico un deficit iniziale proporzionato alle sue capacità. Per esempio, tu squatti 200 kg e lui ne fa 150 di chili? Dagli per buono un handicap di 50 kg e cerca di competere con lui nel tempo al netto di questo handicap.

Ovviamente trovare qualcuno che possa essere al proprio livello rende le cose molto più interessanti e crea una sfida (che si voglia o meno) sicuramente molto più efficiente.

 

Imparare a sentire.

Il mio coach pensa che questo sia un argomento di natura psicologica, per cui proseguirò per questa via.

Impara a fidarti del tuo istinto. Essere in sintonia con il tuo corpo e studiare il ritmo del tuo corpo. Questo è un concetto strano, tanto più che viviamo in una cultura dove ogni cosa è dettata da avvocati, commercialisti, il presidente della Banca mondiale, tutte cose creative ed istintive come una carta da parati rinsecchita.

I giorni in cui vi sentite come un campione del mondo, cercate di capire che sentimento avevate  e ricordalo bene! Cercate di conservare queste emozione e il flusso del vostro corpo. Imparate ad annotare come vi sentivate in quei giorni, rispetto a quelli normali. Nei giorni cattivi, annotate ciò che si crede possa averli causati. Un sacco di cose che succedono unicamente a livello mentale.  Più di quanto siamo disposti ad ammettere. Siate in sintonia con la felicità, non con la tristezza.

Ricordate questo termine “Trova il sentimento” giusto.

 

CHEN JINKAI E LA STORIA DELLA QUATTRO MURA

I cinesi sono geneticamente una razza piuttosto piccola per struttura fisica.

Per dimostrare la loro forza hanno dovuto lavorare sulla tecnica fino a quando non sono stati in grado di sollevare, semplicemente, di più.

Non è detto che i pesisti cinesi siano i più forti in termini di squat e di tirate, tuttavia, l’efficienza nella loro tecnica permette loro di sollevare i pesi che tutti vediamo. Questo tuttavia, non vuol dire che siano strutturalmente forti.

Sanno che essere più forte richiede sempre più volume di lavoro e sempre più alta qualità tecnica.
Allo stesso tempo, più velocità per irrompere in quelle porzioni dell’alzata che sono più difficili . N.d.t. Quando diciamo: accelerate contro lo sticking point.
Questo il motivo per cui il FEELING diventa strategicamente così importante.

Anche il recupero si presenta sempre più come un grosso fattore perché questi atleti hanno bisogno di un grosso volume di lavoro, però, allo stesso tempo, non possono mantenere gli stessi, immutabili movimenti.

Fu così che un idea balenò in mente ad uno dei pionieri della Pesistica Cinese, recentemente scomparso.
Il suo nome era Chen Jingkai.

Perché non costruiamo la forza, alla stessa maniera in cui costruiamo un edificio?

Non dobbiamo semplicemente costruirne una parete, che se arriva il lupo dei tre porcellini in un soffio la fa cadere giù!

Noi possiamo gradualmente costruire tutte e quattro le pareti, e tutto sarà più forte.
Questa la base del Sistema Cinese. Costruire tutte le mura, tutte assieme.

In questi anni le ‘pareti’ sono cresciute fino a diventare un edificio ottagonale potentemente sagomato. Ora, nel corso degli anni, i cinesi hanno evoluto così tanto la loro metodologia che, credo, il Direttore Jingkai avrebbe qualche difficoltà a trovarne il bandolo della matassa. Però la teoria che sta dietro resta. E ancora molto c’è da costruire.

Devi costruire Forza, Potenza, Equilibrio e Abilità. Tutte queste contemporaneamente.

N.d.t. Per chi è stato al corso istruttori Base FIPL sicuramente questo concetto, anche se espresso con altri termini, non risulterà affatto nuovo. Abilità coordinative e abilità condizionali.


LE LINEE GUIDA DEL SISTEMA

Ecco le linee guida. Però non siatene saziati. Le linee guida sono lì solo per illuminare il cammino. Non esistono ordini militareschi. Siate pronti a guardare il tutto un po’ dal di fuori, in modo da poter capirci qualcosa.

Non cercare di ‘sapere’ troppo. Fare molto più che sapere.

 

RPE

Rate of Perceived Exertion. Questo attributo alla serie è molto importante.

Più alto l’RPE, minore sarà il volume.

Minore l’RPE, maggiore sarà il volume.

Sicuramente è decisamente meglio imparare a ottimizzare il proprio RPE. Nel senso che, se vi dico 88% e voi pensate ad un 8,8 della scala RPE, invece che pensare effettivamente ad un 88% dell’1RM, potete adattare i vostri numeri in maniera estremamente più efficiente.

Qualche serie vi sembrerà leggera. In queste serie, potrete aumentare i carichi e assicurarvi che l’RPE si mantenga a 8,8 e non cali verso un 8,5 o un 8,2 RPE.

L’RPE è calcolata da 10,0 come sforzo massimo possibile (esempio 1RM) fino a 0,0 come sforzo minimo possibile, ad esempio stare sdraiati.

Ogni serie e ripetizione ha un ‘più o meno’ 1 range. Per cui se è prescritto di fare 5 ripetizioni, possono 4 o 6 plausibili all’interno del workout.

 

Alzate Olimpiche.

Avrete uno Snatch day 2 volte a settimana. Una giornata di Focus tecnico e uno di forza.

Avrete un Clean and Jerk day 2 volte a settimana. Come sopra.

Farete Strappo (snatch) e Slancio (clean and jerk) assieme e pesante, una volta a settimana, di solito il venerdì.

Dovrete avre una tecnica prossima alla perfezione in ognuna di queste. Anche nei giorni massimali e nei record.

Costruirete la forza, nello Strappo e Slancio con leggere variazioni, ripetizioni e serie dopo avere toccato la miglior singola giornaliera.

Il volume costruito attorno all’85% sarà quello che vi permetterà di sviluppare abilità nei movimenti competitivi.

Attribuirete all’esercizio variazioni ogni settimana. Ogni volta che tornerete allo stesso movimento, con pattern simile, diciamo dopo 3 o 4 settimane, dovrà essere un PR, cioè un record personale. Non picchiate duro sullo stesso movimento (n.d.t. Si intende non solo esercizio ma anche tipo di approccio programmatico) seduta dopo seduta.

 

Squats.

Dovrete fare, come miniimo, due squat a settimana. Tre è meglio. Quattro se avete poca forza nelle gambe. Cinque se le vostre gambe sembrano quelle di Lindsay Lohan.

Dovete credere che i movimenti parziali possano essere una chiave per diventare forti.
(N.d.t. credo che sia molto riferito allo squat ATTG, definito poco più in basso ‘a confort zone’ cosa su cui concordiamo pienamente.)

Buona parte degli squat dovrebbero esser tra l’80 e l’88% e andare più pesanti solo se la tecnica è migliore.

Dovete iniziare a credere che squattare tra il 70 e l’80% del massimale, enfatizzando la velocità, ha un suo valore.

Squat jumps con flessione minima aiuteranno a fissare il bilancere al suo posto.

Devi smettere di squattare ‘culo a terra’ tutte le volte, sempre alla stessa stance. Hai mai pensato al perché squatti ATTG tutte le volte? Perché ti senti comodo. Se vuoi la comodità e il confort, trovati un SPA.

 

Tirate.

Farai tirate spesso, e le farai il più veloce possibile. Ogni tirata deve avere le stesse sensazioni di uno strappo o di uno slancio. Non deve cambiare il processo neuromotorio.

Se fai tirate per la forza, vai pesante. Se per potenza e tecnica, stai nel range della potenza e della tecnica. Dove senti di avere il massimo controllo del carico e della velocità.

La Shrug è necessaria in ogni caso per tenere il bilancere vicino.

 

Distensioni, Rematori e movimenti di muscolazione.

Queste alzate generalmente sono nella parte finale dell’allenamento.

La tua schiena è molto più importante delle tue spalle.

Non vuoi avere le spalle bloccate, giusto? Quindi se distendi, rema pure.

Devi saper controllare la stabilità del tronco. Per questo gli handstands push up sono così importanti.

Movimenti riabilitatori con le bande elastiche ad alte ripetizioni, movimenti di muscolazione unilaterali, salveranno i tuoi tendini e i tuoi legamenti.

Finisci ogni allenamento con una forma di rematore o trazione.

 

Equilibrio strutturale.

Se sei sbilanciato quando squatti o fai tirate, guardati allo specchio e correggi la cosa.

 

LIFTHARD CHINESE WEIGHTLIFTING SYSTEM LCWS

I grandi OTTO

Questi sono 8 muscoli che devono essere alleanti giornalmente. RPE tra l’1 e il quattro.

 

1. Latissimus Dorsi
2. Deltoidi posteriori
3. Tricipiti
4. Abs
5. Lombari
6. Glutei
7. Femorali
8. Polpacci.

Definizione

A. L’alzata principale del giorno.

B. L’alzata secondaria che corregge e assiste le debolezze di A.

c. L’alzata secondaria in ottica di sviluppo tecnico e di velocità, per correggere le debolezze di A.

D. Esercizio primario di muscolazione, legato ad A.

E. Esercizio di muscolazione

F. Lavoro bodyweight, unilaterale, preventive, equilibrio.

 

Nella seconda parte, l’autore presenterà un esempio di sviluppo pratico.

 

Note sull’autore

Dice di se: “Nel corso dei vari anni ho cambiato molti allenatori . Ho imparato molto, continuando a perseguire la mia carriera di allenatore e imparando nuovi metodi da allenatori di altre nazioni. Infine ho imparato la mia lezione più importante: imparo meglio quando insegno, condividendo quanto so con altri allenatori, atleti e con i miei clienti on-line.”

Teo Kirksman è un giovane allenatore di Sollevamento Olimpico e Crossfit Coach di Livello 1. Potete leggere il suo bolg all’indirizzo: http://www.lifthard.com.

OVERTRAINING E VELOCITÀ

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a cura di Teo Kirksman

traduzione a cura di Federico Fontana


 

“La teoria è semplice e chiara; e molte delle cose che facciamo in allenamento, sono basate su logica e teoria, passando per la scienza nel momento dell’analisi” - Teo Kirksman

 

 

Awesome day with Italian powerlifters learning about weightlifting methods employed by the Chinese coaches. Very interesting and I like how the great training systems of the world are VERY similar in principle despite the sport. – Mike Tuchscherer (Medaglia d’Oro nel Powerlifting ai World Games del 2009 a Kaohsiung nella categoria Uomini + 100 Kg, in foto il secondo da destra; in basso il tecnico Ado Gruzza e, a sinistra, il maestro Teo Kirksman).


Nella fase più precoce della mia carriera di atleta, mi sono imbattuto nella definizione e nella diffusa casualità dell’OVERTRAINING; una bestia, un male diffusissimo nell’era di Internet.

Io squattavo 4xweek, e utilizzavo esercizi come strappo e slancio altrettante volte nella settimana, per non parlare della quantità di tirate, spinte, ed esercizi ausiliari. Ero chiaramente approdato sulla sponda del sovrallenamento, traghettato da Caronte verso la mia fine…

A tal proposito ne parlai con il mio coach, il quale pose l’attenzione su un concetto fondamentale.

Nella pesistica olimpica, esiste una particolare distanza, tra gli esercizi di gara e gli ausiliari utilizzati per aumentare i livelli di forza massima; nonostante ci sia una cecità generale nel cogliere tale differenza, questa è in realtà macroscopica.

Negli esercizi da gara della pesistica olimpica, quasi mai viene raggiunto un vero e proprio massimale relativo al reale livello di forza del soggetto.

In un esercizio come lo strappo, con il carico che ti permette la massima efficienza tecnica, stai probabilmente sfruttando circa il 70% del massimale di Back squat; l’80% del massimale nel C&J.

Inoltre, un carico con cui noi spesso lavoriamo nello strappo e nello slancio, è pari a circa l’80% del massimale relativo nei due singoli gesti.

Tale zona di lavoro, ci permette di “lottare” al meglio contro il carico; gestendo quel compromesso, chiamato 80%, che permette il migliore adattamento verso l’abilità di amministrare un peso in un esercizio così complesso.

Il feeling tra carico e schema motorio è massimo!

Ecco quindi la necessità in questo sport, di legare tecnica e carico per comprendere come tutto sia sottomesso al concetto di abilità motoria, in un movimento “dominant skill”! (e non “dominant weight” N.d.t.)

Nella stragrande maggioranza dei programmi di allenamento, aggiunse, un WL lavora in media, al 70% del suo massimo livello di forza.

L’intensità media di lavoro oscilla in questa zona del carico; evidenza osservabile anche nella metodologia di allenamento Russa, dove la maggior parte del lavoro è concentrata attorno a questo magico 70%.

Ecco come mai, nonostante la mole e la frequenza di lavoro spaventosa, un WL riesce a stare lontano dal sovrallenamento!

Anche quando ci alleniamo in ottica PL, il mio coach continua, spiegando come siamo lontani, per la maggior parte del tempo, a carichi vicini al massimale.

L’allenamento è inoltre organizzato in diverse aree:

  • Full movement zone;
  • Partial movement zone (zona a maggior comodità di movimento);
  • Overload zone (l’assetto per il miglior feeling sul carico);
  • Plyometric zone (o il metodo “Shock” di Verkoshansky).

Vi mostrerò ora un approccio interessante da inserire nella prima fase del vostro allenamento.

A livello di Sistema Nervoso Centrale, dovete far finta di NON aver a disposizione un interruttore per settare ogni intensità di stimolo, 50, 70, 80% che sia!

Solo “ON”, o “OFF”… TUTTO o NIENTE, acceso o spento!

Il massimo livello di attivazione è dato dalla capacità di reclutare, nello stesso tempo, e il più velocemente possibile, la maggior quantità di fibre muscolari.

“It’s goes “BOOM!” rather than “Pushhhhhhhhhhhhhhh”

Chiamiamo “ON” questo stato del sistema.

Come è possibile imparare  a settare SEMPRE l’interruttore in modalità ON?!

Lavorando scarico, a bilanciere vuoto, posso imprimere al carico una velocità esorbitante; maggiore di quella che serve alla vostra ragazza per incazzarsi con voi quando scopre l’ennesima cazzata che le avete raccontato.

La chiave sta nel lavorare, a bilanciere scarico, dalla zona dello “sticking point”, il punto più difficile del movimento.

Strappo, Slancio, Spinte, Tirate dallo sticking point, Squat dallo sticking point; provando ad imprimere nel gesto la massima velocità possibile, in stile:

“WarghH!!! SUPER SAIYAAAAA!! BOOM!!!”

Una volta conclusa questa prima parte continuate il vostro allenamento come al solito, come da programma. Vedrete che sentirete il bilanciere meno pesante del solito.

Provate questo approccio per 3-4 settimane e vedete cosa succede al vostro massimale!

Funziona ,perché state andando dritti al problema “reclutamento”.

Ciò significa risultati più veloci e quindi meno sforzo nel complesso per raggiungerli!

Allenarsi non significa sempre spaccarsi in 4 ; è possibile ottenere tanto, di più, sprecando meno; andando meno fuori strada!

 

Note sull’autore

Dice di se: “Nel corso dei vari anni ho cambiato molti allenatori . Ho imparato molto, continuando a perseguire la mia carriera di allenatore e imparando nuovi metodi da allenatori di altre nazioni. Infine ho imparato la mia lezione più importante: imparo meglio quando insegno, condividendo quanto so con altri allenatori, atleti e con i miei clienti on-line.”

Teo Kirksman è un giovane allenatore di Sollevamento Olimpico e Crossfit Coach di Livello 1. Potete leggere il suo bolg all’indirizzo: http://www.lifthard.com.

LE TRAZIONI E I DIP CON SOVRACCARICO: NERD DOCET!

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a cura del Dott. Alessandro Ganzini



Nel calcolare le percentuali del massimale delle trazioni alla sbarra o dei dip con sovraccarico molti fanno il grossolano errore di considerare soltanto il peso aggiuntivo.

Per esempio supponiamo che un soggetto, di 75kg come me, abbia un massimale zavorrato di +60kg.

Facendo riferimento soltanto alla zavorra e calcolando per esempio il 75% del massimale si ottiene 0,75×60=45kg.

Tuttavia il nostro atleta non solleva soltanto i 60kg, solleva allo stesso tempo anche il proprio corpo, per tanto il peso totale sollevato corrisponde a 75+60=135kg.

Calcolando il 75% di 135kg cioè 101kg e sottraendoci il peso corporeo ossia 75kg si ottengono i kg di zavorra corrispondenti al reale 75%: 101-75=26kg.

Ora tra 45kg e 26kg c’è una notevole differenza, la sovrastima era di quasi 20kg!

Volendo fare un ulteriore passo in avanti da bravi nerd precisini… va detto che anche questo procedimento di calcolo porta con se una sovrastima, seppure di entità decisamente inferiore. Bisognerebbe considerare che una persona che fa trazioni alla sbarra non solleva il suo peso corporeo per intero, infatti le mani e gli avambracci non compiono alcuno spostamento rilevante.

Per tanto alla somma del peso del peso corporeo e della zavorra andrebbe sottratto il peso di mani e avambracci.

Vi starete chiedendo come sia possibile sapere quanto pesano.

Suppongo che non tutti gradirebbero mozzarsi un avambraccio per poi poterlo tranquillamente pesare con una bilancia… Quindi vi propongo un metodo alternativo decisamente meno invasivo.

Tramite le equazioni di Barter (Barter, 1957) conoscendo il peso di un certo soggetto è possibile stimare il peso di un dato segmento corporeo.

Barter è arrivato a formulare queste equazioni studiando le proporzioni di cadaveri umani fatti a pezzi… roba da film horror.

Ecco le sue macabre ma semplici equazioni:

M tot è la massa corporea del soggetto in kg (detto volgarmente il peso corporeo).

E’ probabile che ne esistano anche di più aggiornate e precise, e/o che tengano conto anche di altri parametri come la composizione corporea e la densità, tuttavia in maschi adulti sani sono comunque accettate dalla comunità scientifica per una stima plausibile.

Dubito che ne esistano alcune specifiche per soggetti allenati.

Naturalmente portano con se un certo margine d’errore, ma pur sempre inferiore a quello che si otterrebbe senza considerare il peso di mani ed avambracci.

In definitiva il metodo più corretto per calcolare le percentuali è il seguente:

  1. Calcolate la massa totale di mani ed avambracci
    Stimare la massa delle mani: M mano (0,005 x M corporea + 0,16)
    Es. 0,005×75+0,16=0,375+0,16= 0,535 kg
    Se come me ne avete 2 raddoppiate: 0,535×2= 1,07 kg
    Stimare la massa degli avambracci: M avambraccio (0,02 x M corporea + 0,11)
    0,02×75+0,11=1,5+0,11=1,61kg
    Moltiplicate per 2: 1,61×2= 3,22kg
    Massa totale di mani ed avambracci: 1,07+3,22= 4,29kg approssimando 4,5kg.
  2.  

  3. Calcolate la massa totale coinvolta durante il massimale:
    Kg Zavorra massimali + M corporea – (M mani + M avambracci) cioè: 60+75-4,5=130,5kg
  4.  

  5. Calcolate la percentuale desiderata moltiplicando tale percentuale espressa in numeri decimali per la massa totale spostata:
    Supponendo che si debba calcolare il solito 75%: 0,75×130,5=98kg
    Volendo conoscere il peso della zavorra corrispondente al 75%, basta sottrarre il peso della massa corporea dell’atleta coinvolta nel movimento: 98-75=23kg

Siamo passati da 26kg a 23kg, 3kg di sovrastima!

Tale differenza tende ad aumentare in modo proporzionale al peso corporeo dell’atleta, in poche parole più un atleta è pesante maggiore sarebbe l’errore di sovrastima ottenuto senza considerarne la massa corporea che non è coinvolta nel movimento.

In conclusione questo metodo consente di calcolare delle percentuali del massimale maggiormente affidabili impiegando un paio di minuti in più.

 

Bibliografia:

- Barter, J.T. (1957) Estimation of the Mass of Body Segments . WADC Technical Report 57-260 (ASTIA 118222). Wright Air Development Center, Wright-Patterson Air Force Base,Ohio):


STACCO DA TERRA: ANALISI E STUDI SULLE MODALITÀ D’ESECUZIONE

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di Giovanni D’Alessandro
(tutte le foto per gentile concessione dell’autore)


Damiano Di Pilla Lucatelli, impegnato nella Coppa Italia 2012
dove stabilirà il record italiano di stacco nella cat. -93kg. con 305kg.

 

Alcune volte mi accade in palestra di sentirmi rivolgere questa domanda da coloro che iniziano, magari solo per gioco, ad avvicinarsi allo stacco agonistico: “ Ho visto Tizio che stacca in questo modo e Caio staccare in quest’altro; sono validi entrambi? A me come conviene staccare?”
E’ chiaro che una risposta esauriente presupporrebbe del tempo a disposizione superiore a quello che normalmente è in dotazione all’istruttore nella sua attività di routine. Ciò nonostante non si può deludere la lodevole curiosità di un aspirante stacchista o di un atleta in erba.
A colui che non è interessato alle gare sono solito illustrare inizialmente la tecnica convenzionale di stacco perché più appropriata alle esigenze di allenamento generale; tuttavia, quando si approssima una competizione, sia pure di tipo promozionale, cerco di mettere in condizione l’atleta di conoscere entrambi gli stili per poter poi scegliere quello a lui più confacente, almeno ai fini della “pedana”.

Ritengo che la scelta della tecnica di stacco debba essere determinata essenzialmente da tre fattori:

  1. tipologia somatica dell’individuo e relative misure corporee;
  2. fine ultimo dell’esercizio e motivo per il quale si intende potenziare lo stacco (es. intrapresa dell’attività agonistica nella specialità; potenziamento per altri scopi di alcuni distretti muscolari rispetto al quale la gara è solo un diversivo; allenamento dello stacco propedeutico ad altre discipline sportive e, in tal caso, quali esse siano);
  3. gradimento personale del soggetto verso uno stile piuttosto che un altro; cosa che – a lungo andare – vanificherebbe le eventuali indicazioni contrarie emerse dai due punti precedenti, in quanto sarebbe controproducente forzare un atleta ad esprimersi contro le proprie inclinazioni, fossero anche e solo psicologiche, poichè si andrebbero fatalmente ad annullare i presunti vantaggi scaturiti da osservazioni pur valide, oggettivamente e didatticamente, ma in quel caso meramente teoriche e poco rispettose della personalità dell’atleta.

Premesso quanto sopra, passo ad esaminare i menzionati 3 punti singolarmente.

 

Roberta Monaco conquista il titolo agli Assoluti di stacco 2013,
con il nuovo primato italiano di 160.5kg. nella cat. -57kg

 

1) ANALISI SOMATICA

Dai dati statistici relativi a numerose competizioni di powerlifting è emerso che il deadlifter per eccellenza, favorito dalla genetica, è quello dotato di braccia lunghe, tronco breve e gambe di lunghezza media, poiché tali caratteristiche nel loro insieme consentono il più favorevole vantaggio di partenza.
Stiamo chiaramente parlando di vantaggi biomeccanici iniziali che potrebbero poi successivamente essere vanificati da altri importanti fattori. E’ evidente, infatti, l’importanza primaria delle qualità muscolari soprattutto nei distretti relativi a trapezio, erettori, paravertebrali e muscoli posteriori della coscia (bicipite femorale).
Una struttura con tronco lungo e braccia corte influisce sull’angolo del tronco nell’atto del sollevamento, poiché impone al tronco stesso di avvicinarsi al parallelo con il suolo mentre cosce e gambe tendono ad assumere angoli vicini ai 90°. Ora, più il tronco è vicino alla posizione parallela con il suolo, maggiore è la distanza che separa il bilanciere dalle anche (che fungono da fulcro del tronco) e di conseguenza aumenta il quoziente di difficoltà dell’alzata, in quanto l’atleta cercherà di incrementare l’attività muscolare di cosce, glutei e schiena per ovviare alla predetta inefficienza meccanica.
Al contrario, un sollevatore con tronco breve e braccia lunghe inizierà il movimento in posizione più verticale forzando meno il quadrato dei lombi.
Quindi – almeno in partenza – i sollevatori con tronco breve, braccia lunghe e gambe di media lunghezza, possono trovare una biomeccanica efficace avvalendosi dello stile convenzionale; al contrario, i sollevatori con braccia e gambe corte ma busto lungo godono di maggior facilità sfruttando la tecnica sumo.

Mentre i sollevatori che utilizzano la tecnica sumo mantengono di norma una posizione più eretta nella fase iniziale di stacco rispetto ai fruitori della tecnica convenzionale e percorrono evidentemente una distanza inferiore dalla partenza alla posizione finale, non vi sono invece differenze particolarmente rilevanti rispetto al manifestarsi del cosiddetto punto critico o “punto morto” tra le due tecniche esecutive.

Un esperimento molto interessante, che concerne l’adattabilità delle due tecniche di stacco alle diverse conformazioni somatiche, è quello condotto – nel suo Centro sportivo in Colorado – dall’allenatore e ricercatore americano Tom De Long nei confronti di alcuni powerlifters di livello intermedio e che lo stesso autore ha diffuso con il temine, forse un po’ ardito, di “somatomeccanica”.
Ve lo riporto, in quanto può costituire una interessante proposta di lavoro su gli atleti nelle fasi iniziali ed ancora incerti sulla tecnica da adottare ma, nel contempo, rappresentare una utile verifica statistica relativamente a coloro che già hanno operato una scelta tecnica ben precisa.

  1. il soggetto viene avvicinato alla parete con la schiena contro il muro per prendergli le misure;
  2. con un metro viene calcolata la distanza tra l’apice della spalla del soggetto ed il suolo: questa rappresenta la lunghezza totale del corpo (tronco e gambe) senza la testa;
  3. si misura poi la distanza tra l’apice della spalla e la mano chiusa a pugno: questa è la lunghezza totale del braccio;
  4. facendo alzare la gamba al soggetto, si determina con precisione il punto in cui la coscia extraruota attorno al bacino e si calcola la distanza tra questo punto ed il solito apice della spalla: questa è la lunghezza totale del tronco;
  5. Si procede ora alle seguenti operazioni:
    lungh. corpo – lung. tronco = lungh. parte inf.re del corpo,
    “ tronco : “ braccio= nx,
    “ “ : parte inf. corpo = ny,
    dove nx = proporzione tronco/braccia (es. tronco = 50cm, braccia = 65cm, da cui 50:65 = 0,77 che vuol dire che il tronco è 0,77 volte la lunghezza del braccio, cioè il braccio è più lungo del tronco del 23% usando valore di riferimento 1);
    ny = proporzione tronco/parte infer. (es. tronco = 50cm, parte inferiore = 98cm, da cui 50:98 = 0,51 e stesso discorso di sopra);

se la proporzione tronco/braccia è inferiore a 0,82 e la proporzione tronco/parte inferiore a 0,55, si dovrebbe prendere in considerazione lo stacco convenzionale. Infatti, con le braccia più lunghe del tronco lo stacco termina con il bilanciere al di sotto dell’articolazione delle anche: questa posizione finale vuol dire che la posizione di partenza del tronco è maggiormente in verticale, cioè l’angolo assunto dal tronco è più ampio; ne deriva una maggior attività di quadricipiti, bicipiti femorali e glutei tipica dello stacco convenzionale nonché un angolo più ampio anche all’altezza del ginocchio, con conseguente spostamento più uniforme di spalle ginocchia e delle anche che ruotano in sequenza biomeccanica corretta.

Se, al contrario, le proporzioni risultano superiori, rispettivamente, a 0,82 e 0,55 l’angolo di partenza del tronco è meno ampio, ciò comporta una più evidente inclinazione e, quindi, una posizione meno efficiente dal punto di vista biomeccanico.
Con il tronco più inclinato, l’azione dei muscoli preposti all’estensione del busto e delle anche si traduce in uno schema meno efficace, che richiederà un coinvolgimento ancora maggiore di bicipiti femorali e glutei rispetto ai quadricipiti nonché un onere più elevato per gli erettori ed i lombari con il rischio dell’incurvatura della parte alta della schiena. Una soluzione, in tal caso, potrebbe essere rappresentata dal sumo.

 


Francesco Morese, vicecampione europeo master II 2012 nella cat. -83kg.,
detiene nella stessa categoria il primato italiano M2 di stacco con 270kg.

 

2) IL FINE DELL’ESERCIZIO

Non sempre e non necessariamente l’atleta o aspirante tale intende cimentarsi nel powerlifting o diventare un agonista specialista nel deadlift.
In questo caso, la risposta alla domanda “complementare o sumo ?” cambia i suoi connotati, dal momento che la peculiarità da verificare non è più quale tecnica consenta al soggetto i maggiori vantaggi in pedana, bensì quale tipologia di stacco – premesso che ovviamente tale esercizio sia importante ai fini della preparazione dell’atleta in questione – sia più utile al potenziamento dei distretti muscolari che interessano l’atleta ed agli obiettivi che lo stesso si pone per il transfert nella sua attività specifica.
In virtù della notevole componente di forza sviluppata, lo stacco svolge comunque un ruolo importante nello sviluppo e potenziamento atletico di molte discipline che richiedano l’impiego dei muscoli della schiena, fianchi, cosce e gambe ma non necessariamente implica l’adozione di una tecnica particolare di esecuzione.
Per esempio, nel caso di sprinter o saltatori, cui interessa potenziare particolarmente alcuni muscoli quali semitendinoso, semimembranoso e bicipite femorale, può essere opportuno adottare alcune varianti dello stacco come lo stacco alla rumena, ovviamente dosando sapientemente i carichi per non incorrere in un eccessivo sforzo lombare causato dal mancato appoggio del bilanciere al suolo tra le ripetizioni.
Molto spesso l’obiettivo principale è il potenziamento di un determinato distretto muscolare, vuoi perché è quello principalmente implicato nell’attività sportiva che il soggetto svolge, vuoi per necessità diverse che hanno spinto l’individuo a rafforzare quella zona (recupero da un infortunio, correzione di paramorfismi o problemi ad essi collegati e scaturiti successivamente, ecc.).
Anche in questo caso, prima di orientare la scelta verso uno stile od un altro di stacco da terra, dobbiamo sincerarci della effettiva rispondenza della tecnica in esame con il fine da raggiungere.
Attraverso l’esame elettromiografico, ad esempio, si è potuto accertare che gli erettori spinali sono di gran lunga più sollecitati durante l’esecuzione con la tecnica convenzionale di stacco piuttosto che con quella sumo, probabilmente a causa del minor range di movimento delle anche in quest’ultimo caso.
Di conseguenza a coloro che interessa potenziare questa zona, sarà opportuno che adottino la tecnica convenzionale e svolgano altresì una minor mole di lavoro di isolamento sui muscoli erettori già ampiamente sollecitati da questo stile di alzata; viceversa, agli esecutori del sumo converrà svolgere un apposito lavoro di rafforzamento parziale per detti muscoli – anche svolgendo occasionalmente tirate in stile convenzionale – per rafforzare adeguatamente un distretto muscolare fondamentale per la corretta postura di tutto il dorso.

Altro utilizzo possibile dell’esercizio consiste nel considerare lo stacco un mezzo di potenziamento speciale per lo squat, cosa che d’altra parte appare reciproca.
Pertanto, se la morfologia del soggetto è caratterizzata da busto lungo e arti più corti, la tendenza sarà verosimilmente quella di assumere una posizione con stance di gambe molto largo e dorso quasi verticale. In quest’ottica, si utilizzerà favorevolmente lo stile sumo per il più economico leveraggio anche come esercitazione speciale per allenare il sitting back nello squat.

Grazie al fatto che lo stacco da terra è considerato a catena cinetica chiusa – cioè un esercizio nel corso del quale i piedi sono stabili su una pedana o un pavimento e, pertanto, con limiti di tipo spaziale – può essere vantaggiosamente utilizzato nei protocolli di riabilitazione del ginocchio dagli infortuni ai legamenti, sfruttando principalmente il bicipite femorale e, in genere, i muscoli della zona posteriore della coscia come stabilizzatori.

 


Jacopo Mastrostefano, argento agli Assoluti di stacco 2011 nella cat. -105kg.
con un’alzata di 285kg.

 

3) ATTITUDINE DELL’ATLETA

Ho lasciato per ultimo la disamina di questo fattore soltanto perché è, comprensibilmente, il meno scientifico ma, non per questo, di importanza inferiore.
Qualunque classificazione o categoria perderebbe di valore di fronte all’evidente intenzione del soggetto di preferire una posizione, una tecnica, un’esecuzione piuttosto di un’altra.
Il tecnico o l’osservatore esterno, con sifficiente esperienza, può, qualora ne ravvisi la necessità, spiegare all’atleta i motivi che lo hanno indotto a pensare che una determinata tipologia esecutiva sia – per lui – più funzionale, economica, efficace di un’altra; oppure può presentargli entrambe le tecniche descrivendone pregi e difetti ed esortandolo ad esercitarsi in entrambe per un potenziamento più esteso, una maggior completezza delle proprie capacità atletiche, un’aumentata opportunità di variare il lavoro ed una possibilità di scelta oculata a fronte di una conoscenza più approfondita.
In sintesi, non deve aver timore di instradare un giovane o un neofita lungo il percorso che reputa il più congeniale per lui.

Tuttavia un  trainer carismatico, che abbia instaurato nel tempo una certa familiarità con atleti di livello qualitativamente avanzato, pur nel rispetto di un indirizzo di scuola, dovrebbe verosimilmente lasciare all’atleta medesimo una certa autonomia nello scegliere quanto è di suo gradimento e di esprimere, in tal modo, la propria personalità atletica nell’esercizio, dando ovviamente per scontato che si tratti appunto di individualità con sufficiente età anagrafica e maturità di allenamento per poter affrontare una scelta del genere.
Del resto, credo che anche psicologicamente si possano ottenere maggiori vantaggi assecondando delle inclinazioni già radicate, lavorando piuttosto alla correzione di ulteriori difetti, lasciando all’atleta la possibilità di estrinsecare sulla pedana un temperamento atletico fondamentale per l’ottimizzazione della sua carriera atletica  ed attendendo momenti successivi e più propizi per indurlo a riflessioni spontanee, conseguenti alle vicissitudini agonistiche positive e non che via via si dovessero presentare.

 


Sara Del Duca, oro di stacco agli Europei master 2012, vanta un persoonale di kg. 182.5

 

Note sull’autore

Giovanni D’Alessandro è nato a Roma il 20/12/1962; pratica sin dall’infanzia diverse discipline sportive tra cui, a livello agonistico, atletica leggera e biathlon atletico, nel quale è stato al vertice per molti anni vincendo titoli e criterium nazionali.

Specialista della bench press, ha vinto 11 volte il titolo di campione italiano assoluto FIPL in cat. -60kg., dal ’94 al 2010, stabilendo in più occasioni il primato italiano e detenendo tuttora quello master nella categ. -66kg. Ha fatto parte della nazionale azzurra di powerlifting, partecipando a 3 mondiali assoluti di bench press e conquistando due volte il podio nei campionati mondiali master.

E’ coach di una squadra di powerlifting, arbitro nazionale FIPL, istruttore della FIPE (ex FIPCF), dirigente sportivo e organizzatore di manifestazioni promozionali nel settore di competenza.

DON’T BE SHY WITH THE BARBELL: ROBA DA CROSSFITTER!

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di Ado Gruzza


Sabato prossimo 25 maggio sarò a Milano, di nuovo presso Crossfit Bicocca.

Stavolta non per un seminario, stavolta per fare quello che più mi piace: lavorare con la gente, aiutarla a sviluppare il loro potenziale di forza.

Nel mondo Crossfit la forza è un nodo davvero cruciale. Per diversi motivi:

  1. a loro serve molto essere forti. Perché c’è tanta critica sull’uso di anabolizzanti? Perché permettono di mantenere alti livelli forza, tenere svegli muscoli e SNC senza lavorarci in maniera specifica. La forza serve, tantissimo;
  2. la forza che proprio a loro “non serve a nulla” è quella del GRIND, per dirla alla buona. Quella particolare abilità di strascicare via una ripetizione massimale con un buon carico. Insomma, fare 250 kg di stacco da terra con la schiena piegata come il gobbo di notre dame, serve solo a peggiorare tutte le altre performance;
  3. la capacità di sviluppare elevate tensioni in maniera estremamente efficiente, a loro serve, a dir poco, un casino.

Guarda caso, questa è proprio la mia specialità. Io per gusto, inclinazione, riverbero delle mie esperienze personali di atleta, o qualunque altra recondita esperienza freudiana, io dicevo, non lavoro sulla forza massimale.

Lo, non me lo dovete ricordare, sono un allenatore di Powerlifting, la forza massimale c’entra qualcosa.

Sta di fatto che il mio approccio al carico è estremamente legata al movimento, alla capacità di seguire le perfette linee di forza, e pochissimo legato al grind, alla capacità di spingere un carico a qualunque costo.

Sono convinto che un crossfitter è molto forte non quando solleva 250 kg di stacco, ma quando ne fa 200 con una facilità estrema.

Questo è quello su cui lavoro, sul campo, con gente che cerca di sollevare carichi sempre più elevati. Questo è quello che la mia formazione, il mio studio, il mio fare 2000 km in due giorni per vedere dal vivo questo o quell’atleta, mi ha portato a capire e a vedere.

Per fare Powerlifting senz’altro ci sono anche altre strade. Per migliorare la capacità di forza in ottica transfer, beh, credo proprio di no.

Per questo, sabato sarò a Milano in via Talete 9 dagli ottimi ragazzi del CROSSFIT BICOCCA.

Lavoriamo sul come diventare più forti, in ottica di quello che serve e può servire al Crossfit.

Il Crossfit cambierà molto in questi anni ed il modo di vedere il Crossfit sta già cambiando radicalmente. Spero che sia per tutti una bella occasione di confronto e di crescita professionale.

Per info e prenotazioni contattate Bicocca Crossfit a: info@crossfitbicocca.com

Don’t Be Shy with the Barbell!

 

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25 MAGGIO 2013: CROSSFIT BICOCCA – MILANO

GLI HIGHLIGHTS FOTOGRAFICI DELLA GIORNATA

 

 

Tutti gli scatti per gentile concessione di Crossfit Bicocca – Milano: un sentito ringraziamento a tutto lo staff ed i partecipanti, che con estrema dedizione e profonda passione hanno preso parte a questa straordinaria giornata di didattica e pratica sul campo.

Un plauso speciale va al Tecnico Ado Gruzza, che ha saputo tenere viva l’attenzione dei discenti con spunti, riflessioni tecniche ed un occhio “vigile” su ciascuno dei presenti.

LO SQUAT CON LE FASCE

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di Paolo Evangelista – Ingegnere esperto in Biomeccanica applicata ed autore del libro, già bestseller,  “PowerMechanics for Power Lifting”, Sandro Ciccarelli Editore.

Un aspetto interessante delle mie discussioni con Ado Gruzza è che spesso dal confronto emerge che abbiamo dedotto le stesse conclusioni sullo stesso argomento, pur avendo formazioni del tutto diverse. Ado è un tecnico, un allenatore, un profondo conoscitore del mondo della forza, ha costantemente sotto mano un campione umano variegato che riesce a far migliorare. Tutti i ragazzi che si allenano con Ado migliorano, dai casi umani ai campioni internazionali che ha costruito. Io sono una specie di nerd che adora allenarsi, misurare, studiare, trovare materiale scientifico per i miei allenamenti, ho a disposizione me stesso e pochi altri

Accorgersi di aver avuto la stessa idea o essere arrivati alle medesime conclusioni per percorsi del tutto differenti a mio avviso denota che queste idee debbano avere qualcosa di valido. Ad esempio, l’uso della fatica come stressor, cioè aumentare il volume di ripetizioni a parità di carico in certe fasi dell’allenamento in modo che l’atleta debba reagire alla fatica indotta dal volume stesso, concentrandosi sulla tecnica. Oppure, ed è l’oggetto dell’articolo, “l’attrezzatura rende più tecnici”.

Nel Powerlifting sotto la International Powerlifting Federation (IPF) è consentito l’uso di particolari maglie per la panca e corpetti per squat e stacco, a cui si aggiungono le fasce per lo squat. Questo abbigliamento è definito come attrezzatura o gear e le gare di Powerlifting in cui gli atleti la usano sono dette geared, a differenza di quelle dove non è consentito e che sono dette raw. Esiste di conseguenza una precisa normativa che regolamenta ognuno degli oggetti menzionati.

Sebbene agli albori questo abbigliamento avesse scopo protettivo dato dall’effetto contenitovo, oggi chi lo usa ha come unico obbiettivo quello di sollevare più carico. Dato che questo aumenta considerevolmente, moltissimi non amano questo tipo di Powerlifting che viene considerato un “barare” rispetto alle reali possibilità fisiche dell’atleta, ma “barare” significa non rispettare un regolamento comune, e non è questo il caso.

Il punto fondamentale che andrebbe compreso è che tutto il carico aggiuntivo va guadagnato perché sfruttare le capacità di ritorno elastico di questo abbigliamento necessita all’atleta di sviluppare ulteriori abilità motorie rispetto a chi non lo usa. Se cioè è vero che le fasce permettono un incremento di carico anche di 70 kg, per ottenerlo non basta metterle come ben sa chi le abbia mai provate: la prima volta l’unico effetto è quello di schizzare in avanti o indietro e di fallire l’alzata.

L’atleta deve pertanto sviluppare delle capacità di controllo sotto carico che sono superiori a chi non utilizza questi oggetti e che poi rimangono nel momento in cui l’attrezzatura viene tolta. Utilizzo non a caso il termine “superiore”, perché penso che sia proprio così ma a questo punto l’atleta raw si sente punto sul vivo. Non è così, né è una gara a chi è più bravo: il Powerlifting attrezzato è, appunto, più “tecnico” perchè certe individualità devono essere maggiormente controllate. Nella mia brevissima esperienza con questi oggetti ho proprio sperimentato questo: la necessità di maggior controllo.

Il problema dell’utilizzo dell’attrezzatura è che necessita di compagni di allenamento che faranno da spotter, aiutanti per indossare questi mezzi, impediranno infortuni da caduta, rendendo più difficile allenarsi proprio perché diventa sempre più necessaria una “squadra”. Tutti i ragazzi che conosco e che si sono messi insieme hanno ottenuto risultati eccellenti, a dimostrazione che per fare sport ci vuole un gruppo, che se è vero che Internet aiuta tantissimo, c’è poi un limite a tutto questo.

Internet è una enorme fonte di conoscenza, perché la comunicazione fra le persone diffonde le informazioni. Ringrazio perciò Luigi Merusi che su Training People ha postato un link relativo ad blog dove si commentava uno studio sullo squat con le fasce, senza di lui non avrei potuto recuperare questo materiale, che è abbastanza raro dato che analisi di questo tipo non ce ne sono.

Ho letto questo studio con molto interesse ed in questo articolo lo commenterò. Il punto è che saranno delle critiche, perché lo studio non mi è piaciuto. Vorrei che fosse chiaro che le critiche sono relative ai contenuti, non alle persone e so benissimo quanto impegno ci voglia per realizzare uno studio, scrivere l’articolo, farlo revisionare e modificarlo sulle indicazioni dei revisori.

La critica è qualcosa di sconosciuto nell’ambiente del fitness/bodybuilding ed in generale “palestra” ed è sempre vista come negativa: il guru di turno non accetta mai di essere criticato. Questo perché la critica… punge, ma è solo con la critica sui contenuti che c’è veramente metodo scientifico. Io esporrò perciò le mie critiche sui contenuti, perché mi sembra giusto farlo anche se non sono un ricercatore, non sono nel mondo universitario, non ho voce in capitolo. Se c’è qualcuno a cui non piaceranno, lo invito a replicare con altrettanti contenuti, ne avremo tutti dei benefici.

Ecco  [1], “Indossare le fasce condiziona l’output meccanico e le caratteristiche della performance dell’esercizio di back squat”del 2012 per il Journal of Strength And Conditioning Research. I ricercatori hanno fatto fare a 10 soggetti degli squat senza e con le fasce, secondo questo protocollo.

I soggetti avevano un massimale di squat di 160 kg medi con una deviazione standard di 18 kg, e negli ultimi 6 mesi non dovevano aver avuto problemi alle gambe. Per avere un’idea di come si usano le fasce, ecco le foto dell’articolo.

Le traiettorie del centro del bilanciere sono state digitalizzate e sono state poi studiate per vedere le differenze. Nell’articolo sono stati analizzati molti parametri come potenza, velocità in discesa e risalita e spostamento orizzontale del bilanciere su cui si sono concentrati i ricercatori. Al di là dei numeri, mi hanno incuriosito questi due grafici.

Sono le traiettorie del centro del bilanciere fra uno squat senza fasce, in alto, e uno con le fasce, in basso: notate come siano molto differenti. Ecco due estratti del testo dello studio, ovviamente vi prego se vi interessa di leggere l’originale e non fidarvi mai di nessuno, nemmeno di me, perché qualsiasi articolo che analizza un articolo è sempre un sapere per mezzo di terze persone, cioè c’è un filtro.

“Un improbabile risultato di questo studio è stata la relativamente grande riduzione (39% nella fase di discesa, 99% nella fase di risalita) dello spostamento orizzontale del bilanciere quando le fasce sono state indossate.”

“Improbabile” in questo contesto è che non pensavano che fosse probabile rilevare questo risultato: i ricercatori hanno notato che lo spostamento orizzontale è decisamente più contenuto con le fasce, al di là delle differenti velocità di discesa e risalita. Nella discussione dei risultati affermano:

“Indossare le fasce altera la tecnica del back squat in modo tale che ci porta a credere che (a) può essere compromesso lo sviluppo di una muscolatura bilanciata della parte inferiore del corpo e (b) che la combinazione della posizione del corpo osservata quando le fasce sono indossate e la barriera fisica nella parte posteriore delle ginocchia possa compromettere l’integrità dell’articolazione del ginocchio. Inoltre proponiamo che le fasce non dovrebbero essere indossate nell’allenamento per la forza e che se un atleta sente di aver bisogno di un ulteriore supporto per le ginocchia, l’integrità dell’articolazione va accuratamente considerata e trattata piuttosto che affidarsi ad un ausilio artificiale che può esacerbare ogni problema sottostante.”

In pratica le conclusioni di questo studio sono: la distanza indicata in figura diminuisce fra squat senza fasce e con le fasce e questo è “male” perché è una alterazione del movimento “normale” e così può creare problemi alle ginocchia. Le fasce cioè inducono una variazione di tecnica che è negativa per la qualità del movimento. Non concordo assolutamente con questa posizione.

Prima di andare avanti, vorrei fare una piccola digressione con una citazione che mi ha colpito.

“Troppo spesso ho il sospetto che sprechiamo un sacco di tempo, afferriamo l’ombra e perdiamo la sostanza, ed indeboliamo la nostra capacità di interpretare i dati e di prendere decisioni ragionevoli, qualsiasi sia il valore di P. E troppo spesso noi deduciamo “nessuna differenza” da “nessuna significativa differenza”. Come il fuoco, il test del chi quadro è un eccellente servitore e un cattivo maestro”

E’ di Sir Austin Bradford Hill, professore emerito della Università di statistica medica di Londra, tratta da [9] del 1965 dove vengono descritti quelli che si chiameranno, in seguito, criteri di Hill. Per farla breve: come hanno fatto a definire che le sigarette provocano il cancro, cioè che ci sia un nesso causale fra fumo e cancro? Con i metodi di Hill che era uno statistico. Ciò che caratterizza una persona competente da una che non lo è risiede proprio nella capacità di gestire le sue informazioni trovando soluzioni pratiche e spendibili, senza farsi fregare, lui stesso, dalla “scientificità”.

Con i criteri di Hill si sono sgamate le fesserie sul latte e l’osteoporosi, sulle scie chimiche, sul ruolo di certi prodotti e alimenti nell’alimentazione umana. Perché sono un “framework” decisionale che permette di selezionare le informazioni corrette oppure no per capire il nesso fra causa ed effetto. Un lavoro di una robustezza unica.

Già nel 1965 Hill notava, e denunciava (è il senso della citazione), che si stava perdendo la capacità di interpretare i dati, tutti presi nel dedurre il valore statistico degli stessi: la famigerata P, il chi quadro che è un test di significatività che erano indispensabili per poter essere accettati dalla comunità scientifica, ma semplici strumenti. I dati vanno guardati, ci si deve ragionare sopra, ok che debbano essere “precisi” ma i dati servono per fare ipotesi, dare indicazioni, avere intuizioni, aprire delle strade.

Tutto questo dal 1965 è solo peggiorato: studi e studi che sono oramai confezionati allo stesso modo, con il solito gergo, che però non dicono di fatto nulla, non aggiungono nulla, i dati sono significativi ma l’interpretazione di questi è carente, sbagliata, con ipotesi che sono piccoli passetti rispetto a quello che si sa ma nella direzione anche sbagliata. Come in questo caso, dove i ricercatori a fronte dei dati non sono riusciti a trovare alcuna interpretazione significativa, appiattendosi sui test di significatività e su ipotesi che sono solo “principio della cautela”, come vedremo.

Per essere pratici e, forse, comprensibili. In tutti gli studi troverete i dati espressi in termini di valori medi e di deviazioni standard, questo secondo parametro indica quanto il campione si discosta dalla media. Bene. Vediamo in questo caso.

Ci sono 10 soggetti che hanno un massimale di squat di 160 kg con una deviazione standard di 18,4 kg. Scopo del ricercatore è capire, lui stesso, il significato di questi dati. Per prima cosa, 160 kg di massimale è “poco”, cioè stiamo parlando di persone che si trovano in palestra, atleti o quant’altro. Già così potremmo concludere, senza andare avanti, che per questi soggetti non ha nessun senso mettere le fasce, pertanto lo studio è di per se inutile perché non fornisce alcuna indicazione. Se dovessi pagare due team per fare questo studio e uno mi portasse uno squat medio di 160 kg e l’altro di 200 kg, pagherei il secondo.

La deviazione standard indica una dispersione intorno alla media. Inutile però ficcarcela dentro perché è richiesta, perché “altrimenti lo studio non me lo accettano” se poi non si è capaci di interpretarla. Il ricercatore ha chiaro che la deviazione standard è un parametro che richiede una statistica di tipo Gaussiano? I dati si distribuiscono a campana? 10 soggetti sono sufficienti per avere una gaussiana?

Ok, ho fatto due simulazioni molto rozze: il campione di individui dello studio può essere composto, ad esempio, di 10 persone che hanno un massimale di squat fra 130 kg e 190 kg, cioè un campione molto disperso. Al di là del rapporto con il peso corporeo, il carico assoluto comunque qualifica le abilità dei soggetti: uno da 130 kg a 70 kg è molto più scarso di uno da 190 kg a 110 kg perché il bilanciere è “pesante” e questo si capisce solo maneggiandolo e comprendendo che comunque per tirare su 190 kg è necessario non solo essere “forti” ma anche “tecnici”.

Immaginate invece un gruppo di 10 soggetti con massimale di squat da 190 kg a 210 kg. Sarebbero tutti molto più simili fra se, e così gli effetti delle fasce sarebbero simili anch’essi fra se, fornendo informazioni migliori. In questo caso la deviazione standard sarebbe di 6,3 kg.

Cioè:

  • Team 1: campione 10 soggetti, media 160 kg, deviazione standard 18,4 kg
  • Team 2: campione 10 soggetti, media 200 kg, deviazione standard 18,4 kg
  • Team 3: campione 10 soggetti, media 200 kg, deviazione standard 6,3 kg

I soldi i se lo prende il team di ricerca n°3 perché ha il miglior campione di studio. I dati vanno interpretati. In questo caso hanno scelto il classico campione scarso.

Adesso dobbiamo comprendere se le fasce creino problemi alle ginocchia, come scritto.

Sebbene semplificate, nel disegno le forze esterne e muscolari che agiscono sul ginocchio: le forze esterne vengono compensate e superate (perché l’atleta si muove per risalite) dalle forze muscolari.

Nel disegno, le principali forze che possono danneggiare il ginocchio, generate dal complesso delle precedenti: il femore comprime la tibia, la rotula si schiaccia contro il femore. Queste forze sono compressive e sono tipiche di tutte le articolazioni: derivano, semplicemente, dal loro uso e non possono così essere considerate dannose. Ciò che può essere dannoso è un eventuale eccesso.

Nello squat le forze che agiscono sul crociato anteriore sono praticamente nulle anche se può sembrare strano: [2] fornisce un buon modello qualitativo sulle forze nello squat, mostrando come sia proprio l’angolo di chiusura che permette di non utilizzare il crociato anteriore. Aneddoticamente, ho visto un video di una persona con un crociato anteriore rotto che faceva squat sotto il parallelo con 130 kg. Le forze sul crociato posteriore sono assolutamente gestibili da un legamento sano mentre quelle sui legamenti collaterali sono irrilevanti in condizioni normali e non patologiche. Possiamo tranquillamente affermare che il successo nello squat sia dovuto ad un po’ di “culo genetico” dato che ciò che veramente lo impedisce sono varismi o valgismi estremi, rotule piccole o fatte male o disallineate con l’asse longitudinale del femore.

Ecco, di fatto, quello che dicono i ricercatori dello studio: l’articolazione con le fasce subisce uno stress che ne può minare l’integrità perché le fasce schiacciano la rotula sul femore, aumentando attriti, compressione patellofemorale, creando degli spessori non presenti senza. I ricercatori affermano questo solo sulla base di quello che si chiama “principio della cautela”: non ho elementi per dire se una cosa fa male, ma dato che provoca una variazione rispetto alla norma, è meglio ipotizzare che questa variazione faccia male. Il principio della cautela è sacrosanto, ma è come aver paura del buio: non è il buio a far paura, ma quello che ci immaginiamo ci sia nel buio.

Esistono statistiche che confrontino la percentuale di infortuni alle ginocchia nello squat eseguendolo con o senza le fasce? Ma certo che no! Come è possibile averle… via… (le avete? Ditelo!!! Le leggiamo insieme). Perciò, principio della cautela. Ma non conosciamo nulla del “fenomeno fasce”? Analizziamo cosa abbiamo a disposizione.

Ho calcolato i valori di questi istogrammi usando i dati in [4], [5], [6] che sono studi inerenti gli infortuni nel Weightlifting e nel Powerlifting competitivo. Come potete osservare, se nel Weightlifting le ginocchia sono la sede degli infortuni per il 19,1% del totale delle casistiche, questa incidenza crolla a meno della metà, 8,7%, nel caso del Powerlifting.  Chi fa Powerlifting usa le fasce, chi fa fa Weightlifting non le usa. Eppure i dati mostrano che i secondo hanno in percentuale più infortuni dei primi proprio alle ginocchia.

Gli studi di riferimento sempre citati per sostenere che lo squat non faccia male alle ginocchia sono [7] e [8] e sono citati come posizione ufficiale della Ricerca: lo squat è definito safe e healty per le ginocchia. Senza entrare nel dettaglio di questi studi, sono stati presi in considerazioni modelli e dati relativi a chi fa squat ai limiti estremi dei carichi, cioè atleti del Powerlifting, che di sicuro utilizzano le fasce per le ginocchia.

Possiamo pertanto inferire, cioè trarre una  conclusione da un insieme di fatti o circostanze (il che non è una dimostrazione certa ma una conseguenza logica derivante dalle informazioni a disposizione) che se le fasce facessero così male alle ginocchia, ne avremmo avuto una rilevazione proprio dagli studi citati. Di conseguenza possiamo se non altro affermare che non c’è nessun elemento per affermare con certezza che le fasce possano fare male alle ginocchia.

Per quanto riguarda il cambiamento della traiettoria del bilanciere senza e con le fasce, i ricercatori deducono delle condizioni errate perché errato è il presupposto che li guida. Partono cioè dall’accettazione assiomatica che la tecnica dei soggetti senza fasce sia quella corretta, pertanto qualsiasi alterazione del pattern motorio non può che essere errata. Uso il termine “assimatico” perché questa loro supposizione è a priori, non dimostrata, a meno che non si definiscano i termini di uno squat “corretto” e uno “sbagliato”.

E se invece lo squat senza fasce del campione studiato fosse errato e con le fasce fosse giusto?

Ado Gruzza da molto tempo afferma un concetto che ho sempre sposato in pieno: l’uso delle fasce, dei corpetti, delle maglie da panca nel Powerlifting eleva il tasso tecnico. Tradotto in questo caso: con le fasce devi fare lo squat meglio.

Ho riportato sulla stessa scala le traiettorie: detesto quando i grafici non hanno la stessa scala, è un errore di chi analizza i dati, l’ho visto fare in alcune presentazioni aziendali con figure fecali epocali perché quella che era una enorme variazione invece alla fine era una caccola. Il cambio scala è un errore da principianti oppure un modo per strumentalizzare i dati, non ci sono altre spiegazioni.

Come si vede, le due traiettorie sono molto differenti, quella con le fasce, a destra, è veramente ristretta. Ovviamente, sarebbe necessario controllare le traiettorie dello stesso soggetto con e senza fasce, ma nelle didascalie dello studio non è indicato a chi si riferiscano. Ho ricalcato con le splines di PowerPoint le due forme e le metto a confronto con dati a mia disposizione.

A destra la traiettoria dei 300 kg di squat con le fasce eseguiti  da Francesco Pelizza al corso istruttori FIPL 2013 e che io ho avuto l’onore di digitalizzare. Francesco è un atleta d’elite e mi ha così fornito dei dati da atleta d’elite: 300 kg di squat a 110 kg di peso corporeo sono una prestazione di livello internazionale (non che si vince un Campionato Europeo, però di sicuro si fa la propria sporca figura), perciò Francesco lo squat lo sa fare. Ora, quale traiettoria delle due dello studio è più simile a quella di un atleta d’elite? A questa ovvia conclusione ci arriva chiunque.

Sapete quanti studi ci sono che confrontano la traiettoria del bilanciere di atleti cinesi, svedesi, russi? Zero. E quanti studi ci sono che confrontano la traiettoria di “recreative lifters” con atleti d’elite? Zero. Questo è il problema.

Molto spesso non c’è bisogno, di una definizione di “giusto” o “sbagliato” di tipo top-down, stile matematico perché richiede di definire a priori il “giusto” o lo “sbagliato” dicendo il perché. Molto spesso invece una ottima guida è l’approccio bottom-up, cioè osservare ciò che accade, dato che accade non è che si può discutere su questo, e se accade possiamo considerarlo “giusto”. In questo modo si circoscrive l’analisi identificando perché quel fenomeno deve, necessariamente, essere “quello giusto” perché altrimenti non accadrebbe. Per essere pratici, i ricercatori dovrebbero se non altro partire da questa posizione: la traiettoria di “quelli forti” è quella “giusta”, per il semplice motivo che la fanno quelli forti. Poi, successivamente, chiedersi cosa significa “giusta” ma se non altro partire da un modello che è quello di gente “forte”.

A questo punto si dovrebbero porre il problema del perché il modello di “quelli forti” è anche “quello giusto”, ma anche qui si tratta, banalmente, di osservare, provare, e ragionare.

In questi disegni una discesa nello squat. La traiettoria è più o meno inclinata, e si può anche dimostrare perché sia così, però semplificando in maniera estrema: se le chiappe vanno indietro, la testa va in avanti, e alla fine il bilanciere scenderà seguendo se non una linea inclinata quanto meno una linea verticale verso il basso. Confrontate le discese delle traiettorie dello studio, senza e con le fasce i tizi scendono seguendo una linea verticale verso il basso, leggermente inclinata.

I disegni rappresentano qualitativamente il significato delle traiettorie digitalizzate nello studio: a sinistra i bilancieri nelle posizioni inferiori dello squat, a destra in due punti alla stessa profondità in risalita. Del resto quelle sono le traiettorie di bilancieri…

Adesso provate a disegnare degli omini fatti con 3 segmenti, schiena, cosce, gambe: disegnateli con le stesse lunghezze, prima nelle posizioni a sinistra sotto il bilanciere, poi nelle posizioni a destra. Dopo provate a dire chi lo fa meglio e chi lo fa peggio lo squat.

Ok, ci provo anche io…

A destra ho ruotato i segmenti che sono sempre gli stessi, sotto ho messo a confronto i segmenti delle schiene.

Se non ci credete, provateci voi è interessante. Comunque ci proviate, con le fasce la schiena è più dritta, senza fasce è più inclinata. Attenzione: non è che senza fasce la schiena è più inclinata, è che i tizi senza fasce facevano squat con la schiena più inclinata che con le fasce! Detto in altre parole, se in risalita il bilanciere si sposta anche in avanti, mi sembra evidente che tutto quello che c’è attaccato si sposti in qualche modo seguendo il bilanciere stesso, no? Sarei curioso di vedere i video del prima/dopo, guarda un po’… Abbiamo perciò aggiunto un piccolo tassellino: con le fasce i tizi hanno tenuto la schiena più eretta, il che è “bene”.

Se chiedeste ad un allenatore quale sia il motivo per cui le fasce fanno eseguire lo squat in maniera differente, vi direbbe che basta provare: le fasce amplificano qualsiasi cosa voi facciate, nel bene e nel male. Amplificano i kg che potete sollevare, amplificano i vostri pregi e i vostri difetti. Se mentre risalite andate in avanti, le fasce vi ci porteranno ancora di più, e cappotterete. Se invece non lo fate, la spinta sarà tutta verso l’alto.

Questo è l’effetto delle fasce, cioè è un effetto MIGLIORATIVO perché creano una traiettoria più obbligata in un percorso definito. Io ho semplicemente riscritto quello che gli allenatori sanno da sempre e che è opposta a quella dello studio.

Il mondo della Ricerca potrebbe avvantaggiarsi di un patrimonio di conoscenze ed esperienze immense, eppure non lo fa. Questo studio ne è una dimostrazione, dato che come diceva Hill non c’è stata la capacità di interpretare i dati.

Sebbene l’articolo sia stato molto lungo e anche molto pesante, ho preferito dettagliare tutti i passaggi logici per arrivare alle mie conclusioni. Manca il tassello finale per completare il quadro: fornire una spiegazione del perché con le fasce la traiettoria è più obbligata in un certo percorso. Ma è possibile affrontare il problema solo se si arriva a questo punto, liquidando tutte le questioni accessorie che distrarrebbero.

Ok, perché allora la traiettoria è più obbligata in questo (beep) di percorso? Se siete arrivati a leggere questa frase, sarete anche in grado di pazientare fino al prossimo articolo.

 

Bibliografia

[1] – Wearing knee wraps affects mechanical output and performance characteristics of back squat exercise – Lake et alii – Journal of Strength And Conditioning Association, 2012

[2] – The effects of knee wraps on weightlifting performance and injury – Hartman et alii – Journal of Strength And Conditioning Association, 1990.

[3] – Hip extension, knee flexion paradox: A new mechanism for non-contact ACL injury – Hashemi et alii – Journal of Biomechanics, 2011

[4] – Injury Incidence And Prevalence among Elite Weight And Power Lifters – Raske, Norlin – The American Journal Of Sports Medicine – 2002

[5] – Retrospective injury epidemiology of one hundred one competitive Oceania powerlifters: the effects of age, body mass, competitive standard and gender – Keog et alii – Journal of Strength And Conditioning Association, 2006

[6]- Injuries and overuse syndromes in powerlifting – Siewe et alii – International Journal of Sports Medicine, 2011

[7] – Knee biomechanics of the dynamic squat exercise – Escamilla et alii – Medicine and science in sports and exercise, 2001

[8] – Effects of technique variations on knee biomechanics during the squat and leg press – Escamilla et alii – Medicine and science in sports and exercise, 2001

[9] – The environment and disease: Association or causation? – Hill – Proceedings of the Royal Society of Medicine, 1965

IL PROFESSOR ARBEIT: I MECCANICI FERRARI E CHI TRUCCA GLI SCOOTER IN GARAGE 2

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a cura di Ado Gruzza e Antonio Gardelli


Nella storia dell’allenamento esistono quegli allenatori mitologici, quei generali della tattica che diventano figure iconiche. Esistono in tutti gli sport, nel calcio, nella pallavolo, tantissimi nel basket, nell’atletica.

Particolarmente esistono negli sport di forza, dove il mito e la leggenda si intrecciano spesso con la passione degli atleti e la loro ricerca verso la miglior soluzione tecnica.

Ivan Abadjiev, Alexey Medvedyev, lo stesso Sheyko, ora c’è pure Wolf e nei lanci Bondarchuk e Arbeit. Tutti nomi di gente che ha vinto tantissimo, che raramente si è spesa al di fuori del loro contesto puramente agonistico. Personaggi refrattari alla scena. Se sommiamo risultati pazzeschi con personalità molto forti ecco che ne esce il mito.

Ekkart Arbeit, l’ultimo della lista dei citati è stato il mitico direttore della nazionale di atletica della Germania Est. In particolare è stato il deus ex machina della nazionale di lanci.

Sostanzialmente uno scienziato e uno studioso di sport. Un esperto assoluto di lanci, allenatore di alcuni dei più forti lanciatori della storia dell’atletica leggera. Un personaggio estremamente discusso, ovviamente per storie di doping, in quella nazione in cui si fecero cose eticamente molto poco accettabili.

Arbeit è stato però senza dubbio un innovatore e per quello che interessa a noi, un grande esperto di forza.

I lanci e in particolare il getto del peso, richiedono, per primeggiare, livelli di forza incredibili. Leggende sui massimali di Udo Beyer ne girano da parecchi anni. Al di là dei numeri gonfiati, indiscutibilmente questi atleti riuscirono a mettere in fila carichi che li renderebbero davvero competitivi anche in un contesto agonistico di powerlifting o pesistica olimpica. Per cui, il signorino di forza se ne intende, molto ma molto di più della maggioranza dei soggetti dai quali possiamo ottenere facilmente informazioni oggi giorno.

L’interessante è che l’approccio è completamente diverso a qualunque cosa che noi possiamo aver incontrato prima. A volte sembra quasi un becero bodybuilding, altre volte poi ti accorgi che è un modo per spingere le possibilità di reclutamento ancora più in là.

Pensando al lavoro di Arbeit mi è balzato alla mente il fatto che un mio ex concittadino avesse avuto, proprio alla fine dell’epopea della grande Ggermania Est, l’opportunità di allenarsi direttamente con lui, in quanto sul finire degli anni 80 fu al centro federale Italiano prima con la nazionale tedesca poi come tecnico esterno, e il mio amico in quel tempo era un lanciatore della nazionale Italia.

Un po’ come se aveste un conoscente che avesse avuto la possibilità di essere allenata in persona da Abadjiev o da Sheyko. Un conto è leggere un programmino, un conto è vedere cosa si faceva davvero, sul campo, con feedback diretti da chi lì, c’era.

Ho chiesto ad Antonio Gardelli (che altri non è se non il fortunato ad aver vissuto direttamente questa esperienza sportiva di alto livello) che già ha scritto su queste pagine, in occasione di un seminario sulla forza nel calcio con l’AIPAC, se avesse avuto modo di trovare i suoi vecchi diari di allenamento dell’epoca.

Pochi giorni fa mi risponde su Facebook, messaggio privato, che recita più o meno così: Ado, se sei in piedi, siediti, perché è roba, che vista col senno di oggi, davvero è pazzesca.

Vero! Raramente ho visto un programma di allenamento più brutale e folle. Se non l’avesse fatto Arbeit in persona l’avrei bocciato come la follia di un personal trainer invasato. Invece non è proprio così.

Ecco il racconto diretto di Antonio, una esperienza praticamente unica. Tutto scritto in prima persona. Non credete alla modestia, davvero è stato un atleta eccezionale rispetto ai nostri parametri amatoriali. Quanti di voi sarebbero così interessanti da poter essere allenati dal direttore della nazionale della Germania EST.

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Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

L’annata ’90/’91 fu uno dei momenti più importanti della mia vita sportiva. Venivo da un periodo molto deludente, che seguiva invece la stagione del 1988, che per un atleta poco più che mediocre come me aveva rappresentato soddisfazioni incredibili.

Ero a Parma e mi trovai, come compagno di allenamento, un atleta incredibile, una forza della natura: Moreno Belletti, giavellottista.

L’altra novità era rappresentata dal fatto che ci saremmo allenati con il programma del “professore”..che in quel momento prendeva in mano gli atleti di interesse nazionale del settore lanci. Quale stimolo migliore per ripartire alla grande?

Premetto che in passato, sotto la guida del professor Valter Rizzi, avevo seguito dei programmi di forza semplicissimi, un lavoro di costruzione di base e poi delle piramidi tronche, che avevano portato le mie prestazioni in sala pesi a livello sicuramente quasi più interessanti di quelle in pedana. Ma si sa, è storia, che ero una maniaco della ghisa. Si faceva fatica a trovarmi fuori dalla tana, era strano incrociarmi in palestra senza un bilanciere in mano. Ci ero proprio portato e mi piaceva. Non facevo fatica, o meglio, godevo nel far fatica col ferro.

Dei programmi di Arbeit avevamo vissuto un assaggio proverbiale in occasione dei raduni che i ragazzi della DDR facevano a Tirrenia per giovarsi del nostro clima più mite, negli anni precedenti. Ebbi la fortuna, tesserato per il gruppo sportivo esercito, di essere presente ad un paio di questi preziosi eventi.

Osservando gli allenamenti dal vivo di quello che allora era il gotha dei lanci internazionale, mi resi conto di tre cose sostanziali: di piantarla di fare il bulletto perché contavo come il due di coppe quando la briscola era a bastoni, che era ingiusto ridurre i successi di alcuni atleti ad una molto riduttiva assimilazione al doping, al fatto che ottenessero dei risultati sostanzialmente perché erano ragazzi disposti a farsi un mazzo cosmico pur di arrivare…..ah, ecco, una quarta: stavano in pedana delle ore, con un monte lanci pazzesco, e un livello di concentrazione, di intensità e di costanza di rendimento che mi fece praticamente paura.

Non sto a raccontare dei parametri e dei massimali, è una cosa che ormai non faccio volentieri. Sembrano inverosimili e in troppi li collegano e riducono alla mera farmacologia. Dico solo che presi paura anche in sala pesi, il mio regno. E io ero già un bel torello.

Poi, provando di persona, capii…


Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

Torniamo a Parma, autunno del 1990…

E’ abitudine iniziare le preparazione atletiche, non mondo dell’atletica leggera italiana, nel giorno di S. Martino…quell’anno anticipammo di brutto.

Io non vedevo l’ora di anticipare la stagione per togliermi qualche sassolino dalle scarpe (sassolino…certi serci…), Moreno era un giovane virgulto in attesa di consacrazione, ma la realtà più semplice era questa: non vedevamo l’ora di giocare coi nostri nuovi giochini, cioè i programmi del professore.

L’impatto fu brutale, devastante, salivano i conati solo a leggere, conati che io confermai molto presto sul campo, anche perché io ero una di quelle teste di cazzo che piuttosto che mollare una ripetizione o uno sprint ero disposto a buttare l’anima. Ecco, in quell’autunno vomitai molto spesso.

La giostra era all’incirca questa, riassumo sui punti salienti:

la giornata partiva sempre con un lavoro orgnanico blando, 20/30 minuti di corsa lenta.

Uno dice, ma a un lanciatore che serve? A me personalmente, serviva per rimettermi in moto dal giorno prima…senza sembravo pinocchio con un attacco di labirintite.

1 h di ginnastica articolare, quella che adesso chiamiamo “Mobility”.

Idem come sopra, non ridete, ma in quel periodo ero un piccolo ginnasta, facevo la spaccata, ma utilizzavo questi lavori come warm up prolungato, godevo proprio, per me erano vitali. Non ci soffermavamo tanto sullo stretching, quanto sulla mobilità a terra, alle sbarre, col bastone.

3 volte la settimana: sprint con traino 6 x 30/ 60 mt; traini che andavano dal 10 al 100 % del body weight. Recupero ampio.

In alternanza, le altre due sedute del mattino:

lavoro lattacido in pista: tipo 5 x 100 mt, 2 x 200, 1 x 400...a volte questo lavoro, non ricordo bene quando, veniva sostituito da un test di Cooper. Si narra che un campione del tempo, vincitore delle olimpiadi nel 1984 nel getto del peso, a Tirrenia, io non c’ero, ma mi fu raccontato da amici molto affidabili, interruppe il Cooper per rincorrere fisicamente il Prof, e ci vollero in cinque per evitare che riuscisse a spiegargli molto affettuosamente le ragioni della sua ritrosia verso quel genere di esercitazioni.

Pausa pranzo

Lanci e tecnica di lancio,sedute tecniche interminabili, spesso 80/100 lanci (ve lo assicuro, dal punto di vista neurale erano come una mezza maratona).

Tutti i giorni, con varie tipologie di attrezzi, lanciavamo di tutto, oltre le bestemmie. Dischi, barre, pesi, pesetti, manubrietti, damigiane…tutto. In DDR facevano tecnica anche coi cuscini in corridoio, prima di andare a dormire. Li ho visti io.

Mettetevi seduti: la Forza, 3 sedute la settimana:

  • mesocicli strutturati a  4/1, cioè 4 settimane intense e una di scarico.
  • 3 esercizi:, powersnatch, Squat (deep), bench press, nell’ordine, per servirvi.

Dice…embè?…..

Embèèè?

Primo mesociclo: 60% 10 x 5 serie

Secondo mesociclo: 50% 10 x 10 serie

Terzo mesociclo:  60% e oltre 15 x 10 serie

carichi che permettessero un esecuzione perfetta e sovrapponibile dalla prima all’ultima ripetizione. (cosa a cui non facevamo sempre fede perché ogni tanto, spesso di lunedì, il testosterone prendeva il sopravvento sul granum salis e veniva fuori la voglia di strafare tipica del palestroide che gioca a chi ce l’ha più lungo: in una di queste occasioni riuscii a staccarmi una porzione dell’inserzione periostale del sartorio. Un vero momento di genialità. Una meraviglia della scienza e della tecnica ortopedica. L’ecografista, il mitico Dott. Tosi, non credeva ai suoi occhi.

Forza speciale: in alternanza alla forza, 2 volte la settimana:

circuito da 150 ripetizioni, con carichi leggeri, bilanciere vuoto o piastre: dieci esercizi diversi, coordinati e sinergici, come affondo laterale più bicipiti, affondo sagittale più torsione, calf più tricipiti in french (in piedi) analitici delle alzate olimpiche tipo snatch balance, split snatch, back jerk, etc (allora non sapevo si chiamassero così) dove ogni esercizio era svolto con serie praticamente senza carico da 15 o 20 ripetizioni l’una.

Possibilmente senza soste, un vero WOD di CrossFit.

Dopo questi tre mesocicli di costruzione, venivano abbandonati i lavori lattacidi di ripetute in pista (test di Cooper compreso, per buona pace di tutti), gli sprint con i traini venivano velocizzati, la tecnica si spostava verso l’utilizzo dell’attrezzo da gara con peso regolare, la ginnastica veniva mantenuta.

Forza seconda fase:

Mesociclo piramidi ampie 12\10\8\6\8\10\12 con un carico percentuale del 60% per la prima serie, il 65% per la seconda e a seguire, aumentando il carico a seconda del feedback dato dalle serie.

Poi sempre più stretta 10\8\6\4\6\8\10 e ancora 8\6\4\2\4\6\8 dove la serie da 2 ripetizione dovrebbe prestarsi ad un carico vicino al 90% del massimale.

Massima velocità di esecuzione, perfezione e costanza tecnica, capacità di gestione del carico erano i soliti target.

La forza speciale diventava una lavoro organico di 200 ripetizione stavolta, ma non compiuto a circuito, quanto in dieci stazioni di 20 ripetizioni per ogni esercizio, con recuperi pressoché completi tra le stazioni

Per ricostruire questa fase mi sono visto costretto a richiamare due miei vecchi amici, perché il mio ricordo era molto offuscato, Moreno, appunto, e uno dei più grandi discoboli italiani di sempre, sicuramente il più costante e longevo, Diego Fortuna, che pazientemente si sono prestati alla ricerca del vecchio cartaceo e alla ricostruzione di quel periodo. Non ricordavo l’ultima parte perché dovetti smettere, la preparazione invernale mi tritò completamente. Finii a pezzi, il giorno dopo di una bellissima gara a Bologna, il mio canto del cigno. Facendo mobilità con dei passaggi ostacoli mi si stacco l’apice del tendine sotto rotuleo. Gioco, partita incontro, la voglia, la determinazione e la testa avevano superato di gran lunga la mia sopportazione fisica.

Per onestà intellettuale, però, devo riconoscere che la foga, giovane età e la voglia di arrivare, per non parlare dell’agonismo che si evince allenando con un campione come partner, devo dire che spesso, negli allenamenti, i carichi utilizzati superavano quelli indicati!

La realtà è che sopravvissero a quell’allenamento sostanzialmente i campioni. Che erano tali anche perché capaci di sopportare, metabolizzare e sublimare certi carichi di lavoro. Fu una specie di selezione naturale, che mise in ordine le reali gerarchie del talento messe in campo.

Altra considerazione, in positivo, dopo le prime settimane di smarrimento, avevo raggiunto un livello di condizione mai visto prima. Avevo messo su una fisicata, rocciosa e armonica, senza fare un esercizio analitico di pesi che fosse uno, da fare invidia ad un body builder di alto livello. Potevo mangiarmi questo mondo e quell’altro senza mettere su un chilo (ahimè) e un mm di plica. Avevo una lucidità, durante le sedute di tecnica che avrebbe fatto invidia ad un pilota di caccia. E la forza saliva, saliva eccome. Ogni tanto, durante i nostri fuoriprogramma sconsiderati, ci davamo qualche botta di singola. Non vi dico i parametri per pudore e per non dare adito a sterili polemiche, ma avrei potuto gareggiare senza sfigurare sia nel PL che nel WL. Pur non lavorando sui max effort la forza veniva saliva alla grande.

E poi controllo. Capacità di controllo motorio di un monaco Shaolin. La multifrequenza delle esercitazioni e la ripetitività dei gesti ci dava una capacità pazzesca di gestione vestibolare.

Negli anni da allenatore ho fatto scelte diverse, ho trovato delle soluzioni meno impegnative, più semplici, con dei volumi più umani…ma ho sempre tenuto in considerazione quel modello metodologico. Gli HSC (high sinergy circuit) che ho utilizzato nelle preparazioni dei marzialisti e di diverse squadre di serie A di sport situazionali, venivano da quell’esperienza, così come la scelta di differenziare le somministrazioni di forza su pochi esercizi (3/4)..alternati a esercitazioni più complesse dal punto di vista motorio in modalità veloce con carichi più leggeri.

Per ultimo, in barba a tutte le sterili polemiche, sono convinto che i successi di certe scuole, epocali, nello sport, siano dovuti al fatto di poter attingere a gruppi di individui “intelligenti” dal punto di vista motorio perché vantano un back ground giovanile che andasse al di là della partitella di pallone a scuola e della bibita e patatine sul divano di casa.  Atleti anche disposti, nel contempo, a farsi un mazzo come una capanna senza ragliare inutilmente e chiamare il telefono azzurro ogni qual volta gli si chieda impegno e dedizione.”

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Vorrei aggiungere a questo splendido ricordo di Antonio una considerazione che mi ha passato lo stesso Gardelli:

Lui dava una spiegazione a tutto questo volume di lavoro: capacità di gestione dei target impostati. Ripetitività maniacale del gesto, alla fine di ritrovare le stesse qualità nel gesto tecnico specifico, che veniva concepito allo stesso modo. Sedute di tecnica in modalità variabile dell’attrezzo, per mantenere altissimi livelli di tecnicità nel numero più elevato possibile di lanci’ e aggiungo io, la particolarità è che Arbeit costruisce questa esperienza cinestetica e capacità di attivazione lavorando sulle alte ripetizioni nella serie e non sull’alto volume sviluppato in poche ripetizioni e più serie.”

Come postilla posso dire che ho visto seminari di Arbeit in cui venivano proposte a seguito di queste fasi di altissimo volume metodologie piramidali. Ve ne porto alcuni esempi.

70% 7, 80% 5, 85% 4, 90% 3, 95% 2, 97% 1, 75% 2 x 2, oppure

80% 4 x 4, 85% 3 x 3, 90% 2 x 2, 95% 1

Lo stesso Antonio mi disse che in fase competitiva, come mantenimento della forza generata si passava ad un piramidale con serie morbide di avvicinamento ed un 3 x 3 finale con carichi molto importanti, testualmente: al fulmicotone.

Poi, non so se ci siete ancora arrivati: da dove cacchio pensate che lo abbia preso Poliquin il German Volume Training?

Solo che lui lo faceva fare su 1 muscolo a settimana e con diecimila complementari fumosi. Qua si fa strappo (non oso immaginare il fiatone a fare 12 ripetizioni di strappo in piedi) squat e panca piana. Tre volte a settimana, altra musica.

Un’ultima cosa credo debba essere presa in considerazione da tutti noi: Antonio ha detto due cose incredibilmente importanti:

a)  al di là di ogni considerazione, ha ammesso che essendo giovane e ambizioso e ovviamente senza l’autorità di Arbeit che lo avesse seguito seduta dopo seduta,  ha esagerato con i carichi e ha avuto voglia di strafare. Spesso bocciamo come “impossibili per i natural” un serie di programmi solo perché non li abbiamo provati o perché abbiamo usato parametri davvero irrealistici.  La moderazione, quando si parla di volume, diventa davvero fondamentale.

b) Antonio ha detto che a parte gli infortuni subiti, in quel periodo si sentiva informa come un missile. Questa cosa potrei quasi dire che l’abbiamo imparato anche guardando al Crossfit (da un certo punto di vista) perché essere in forma, in senso generale, in senso di condizione assoluta è un parametro che chi fa pesi e forza spesso sottovaluta. Questi qua correvano per mezz’ora la mattina, facevano scatti e allunghi, lavoro lattacido in pista. Malgrado il gesto tecnico avesse una durata di molto inferiore a quello di una distensione su panca.

Meditiamo gente, meditiamo.

Un altro piccolo capitolo nel grande libro della conoscenza dell’allenamento.


KANDINSKY, PIERO MANZONI E LA “MERDA D’ARTISTA”

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a cura di Ado Gruzza

Dopo l’articolo uscito martedì su questo sito, riguardante l’esperienza atletica di Antonio Gardelli, sotto la supervisione del direttore tecnico dei lanci della ex Germania dell’Est, sono uscite parecchie domande.

Questo l’articolo in questione: IL PROFESSOR ARBEIT: I MECCANICI FERRARI E CHI TRUCCA GLI SCOOTER IN GARAGE 2

Domande: qualcuna decisamente interessante; qualcun’altra, come sempre accade, banale e qualcuna che potrebbe sembrare banale, però, a pensarci bene, non lo è.

Ecco vorrei parlare di questo, di questo e di Kandinsky, se me lo concedete.

Kandinsky non è il nuovo allenatore della squadra polacca di powerlifting, per chi ne avesse il dubbio.

Negli anni sessanta (non controllo le date su Wikipedia perché conta il concetto) un giovanissimo artista, artista di quella che chiamiamo Arte Moderna, prese le scene con un opera davvero provocatoria.

Era il tempo di Fontana, quello che tagliava le tele, e l’arte aveva preso un piega estremamente intellettualistica e puramente concettuale.

Questo giovanissimo milanese, diretto parente di Alessandro Manzoni, Piero Manzoni, ebbe un’idea travolgente. Sigillò le proprie feci in 90 barattoli (tipo quelli del tonno) ognuno del peso di 30 grammi. Titolo: “Merda d’artista”.

Per completare l’opera geniale, li mise in vendita all’esatto prezzo dell’oro determinato dal mercato dell’epoca.

Ovviamente, successo clamoroso, scandalo. Perbenisti increduli, appassionati affascinati dalla mossa geniale.

C’è chi pensa che sia stata tutta una farsa, c’è chi, secondo me con un po’ più di senno, pensa che l’atto provocatorio fosse arte in se stesso ed in quanto tale. Che il significato dell’opera sia stato insito nel suo essere così “assurda” e anticonformista, per l’epoca.

Di fatto il mercato ha dato ampiamente ragione a Manzoni. Oggi, i novanta pezzi di “Merda d’artista” valgono molto, ma molto di più della quotazione (attuale) dell’oro.

Tutto questo per dirvi cosa? Beh, Piero Manzoni era già un artista quotato e di successo quando ebbe quella trovata. L’avesse fatta un passante, sarebbe stato nient’altro che un gesto goliardico. E dico pure giustamente.

Spesso ci fidiamo troppo di quello che capiamo. Guardate un quadro di Kandinsky. Sembra che lo possa fare chiunque in ogni momento.
Benissimo, perché non lo fate, allora. Perché i Kandinsky si riconoscono lontano 1 chilometro. Fatelo pure voi, no? Non uguale, quello sarebbe una copia. Se sono tutte stronzate, se la quotazione di un artista è una balla, inventatevi una trovata che faccia parlare tutto il Jet Set newyorkese e vi frutti milioni di euro in vent’anni. Oppure fate un quadro che sia apprezzato e riconosciuto dalla maggioranza degli studiosi mondiale.

Ovvio che non è semplice, anzi.
Per questo la quotazione di un artista ha un senso, così come ha senso, nel nostro mondo, la quotazione di un tecnico.
La quotazione essenzialmente è il “credito” che un soggetto ha acquisito sul campo.

Dall’articolo scritto a due mani con Gardelli sono emerse metodologie usate dalla nazionale comunista tedesca, in cui Arbeit proponeva piramidali lunghi, tipo 12,10,8,6 eccetera.

Questa roba dovrebbe essere ormai assodato, essere superata e inefficace. Certo, siamo stati noi tra i primi a sottolineare la necessità di un approccio diverso.

Se me li fa il sedicente Strength Trainer di turno, lo “fanculizzo” in 0,3 secondi netti.
Però Arbeit non è il pallonaro che si presenta come Strength Trainer e poi fa il Personal ad Ostia d’estate. Arbeit ha allenato alcuni dei migliori lanciatore di tutti i tempi. Si è confrontato con esperti e specialisti di ogni dove.

Questo è uno dei motivi per cui occorre dare credito a certe opinioni.

Però non basta il credito. Occorre anche che il metodo proposto, a naso, rimandi a qualcosa di buono. Perché di preparatori atletici di buon livello che hanno fatto delle cagate assurde ce ne sono a pacchi.

Perché il piramidale del Professor Arbeit è da considerarsi una esperienza più interessante, del piramidale classico 12,10,8,6 del palestrataccio medio?

Svisceriamo la cosa punto per punto.

UNO – Il contesto denota una complessità di fondo molto più interessante. Arbeit per tre mesi (dico tre mesi) propone un lavoro alternato a carico fisso che fa dal 10 x 5 serie ad un impossibile 15 x 10 serie.

Ho visto un suo seminario in cui parlava di un 15 x 5 serie, e si trovano in giro protocolli per la parte alte in cui si alternano: distensioni con manubri inclinato, piano, declinato e molto declinato a 10 x 5 serie, entrambi una volta a settimana.

Costui cerca di creare una base di lavoro pazzesca. Costruire una rapporto con quell’esercizio tale da rendere l’atleta condizionatissimo al gesto.
Non si affida alle mere ricerche scientifiche fatte in laboratorio, che porterebbero (spesso erroneamente, molto spesso erroneamente) portare a protocolli molto più asettici, del tipo: cosa sviluppa le fibre bianche? Cosa mima il gesto e il tempo di gara, e amenità del genere.
Leggendo il programma nella sua completezza, chiaro è che Arbeit ha una idea in testa, e questa idea è complessa. Non è semplice, non è, come dice l’amico Buccioni parlando criticamente di alcuni programmini (ini, ini…) alla moda, eccessivamente geometrica.
Cioè ha una schematizzazione estremamente semplice, che porta per magia ad un risultato predefinito. Tipo i programmi su cui un autore a cui viene una idea, campa una vita, scrivendo un libro su un piano di lavoro al quale basterebbero 3 righe per definirlo.

Quindi si arriva ai piramidali lunghi (che ripeto, sarebbero il peggio del peggio, in teoria) dopo aver fatto un lunghissimo svezzamento a carico fisso, un disumano accumulo di lavoro.

DUE - La scelta del carico. Il palestrato, senza saper ne leggere ne scrivere, userà più o meno questo approccio:

> 12 x 70%
> 10 x 73% eccetera.

Arbeit invece propone un buffer molto ampio quando si usano tante ripetizioni. Buffer che diminuisci drasticamente quando il lavoro diventa espressamente neurale.

Questo è un altro indice di complessità.

Se le 10 e le 12 ripetizioni sono affrontate al 60% del carico massimale, abbiamo un buffer che è quasi del 50% ripetizione più, ripetizione meno. Che non è poi tanto lontano dal buffer di Prilepiniana memoria. Solo quando la piramide si stringe, a si passa ai lavori neurali, questo autore fa tirare il collo alla gallina. Anche se non lo sposo in prima persona, questo approccio mi sembra quanto meno interessante.

Quindi è questione di colpo d’occhio, vedete qualcosa che sembra buono e cercate di studiarlo.
Ho visto tanti programmi pensati per lanciatori. Non tutti mi sembravano buoni, questo si.

Anche le pianificazioni di Egger, hanno qualcosa di ottimamente strutturato, anche se credo che lavorino troppo sul muscolo e poco sul movimento. Se a qualcuno interessa, ne parleremo magari in qualche prossimo articolo.

TRE – Perché questo programma non “sfanculi”, secondo il mio modesto parere, occorre mantenere lo spread tra il primo carico usato e l’ultimo, il più corto possibile.

Intendo dire che, come ho sentito osservare da Poliquin in diversi contesti, in un lavoro simil piramidale, la distanza tra la prima serie allenante e l’ultima dovrebbe restare entro il 10 o 12% e non oltre.

Quindi:se fate la prima serie al 60% l’ultima non dovrebbe eccedere di molto il 70% e questo ad evitare una forte confusione di stimoli all’interno del corpo umano.

Tornando al palestrato medio, anche se per un invito esterno partisse al 60% senza dubbio, con la serie da 5 o 6 ripetizioni, terminerebbe attorno all’80% e oltre, con uno spread del 20%, che di fatto è davvero troppo.

Piramidali? Allenamento Vintage? Proviamo, però conteniamo il lavoro in:

a) carichi % adeguati;

b) siamo ben sicuri di avere la giusta preparazione;

c)  manteniamo un spread breve tra la prima e l’ultima serie.

Insomma, anche se un allenamento sembra “di merda”, se è d’autore, merita una considerazione.

Se un grandissimo della pesistica notassi facesse cose molto poco convenzionali, il primo istinto sarebbe capire perché le fa. Ultimamente leggevo un autore che proponeva il cedimento nei pesisti olimpici. Sembrerebbe niente di peggio. Se lo dice un “palestroide” lo configgereste. Vero?
Visto che costui ha allenato ad altissimo livello, vale la pena chiedersi, cosa c’è dietro?

Attenzione però: essere “autore” non significa essere famoso.
Se un quadro lo fa Bonolis o la Minetti, non vale “una sega”. Fidatevi dal solido e incorruttibile curriculum dato dai risultati. Ovviamente le medaglie olimpiche valgono solo se il tecnico era il primo tecnico dello sport specifico. Se avete provato la pressione due volte a Mike Tyson, non avete molto a che fare con il suo successo. Arbeit era il capo. Decideva lui, tutto. Non era un consulente.

Poi, una volta che si è capito il perché, si è provato, si è lavorato ed elaborato, fatto provare a più soggetti, allora si possono trarre conclusioni.

Perché la “Merda d’artista”, merita credito.

IL FINE GIUSTIFICA I CARICHI

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a cura di Amerigo Brunetti


Amerigo Brunetti – Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

E’ dalla prima elementare che sono in mezzo alla realtà agonistica.  15 anni di karate – di cui 5 in nazionale italiana – lasciano indubbiamente un segno. Di approccio, di mentalità. Voglia di capire come fa lui ad essere più forte.  Appena adolescente, vengo convinto ad entrare in sala pesi. La mia vita cambia. Sette anni dopo vinco i Nord Italia di natural bodybuilding – prima gara, preparata completamente da solo – e faccio 2° ad un camp. Italiano juniores che non ha più rivisto un livello medio simile di preparazione in quella categoria. Da qui un’ulteriore svolta: la passione diventa lavoro. Partendo da qualche semplice consiglio all’amico, questa voglia di capire come funzionano davvero le cose mi divora e ho la fortuna di conoscere alcuni tra i migliori natural a livello mondiale. Ragazzi mi chiedono di essere preparati. Capisco le dinamiche, mi scervello per capire come sia possibile che allenamenti apparentemente diversissimi possano portare a risultati di prim’ordine. Cosa li accomuna, alla fine? Studio. Ore. Vado a letto col cervello fulminato perché ci sono tre milioni di ormoni che gestiscono sodio e potassio, ma se voglio portare i miei atleti al 100% devo sapere come funziona.

Attualmente sono preparatore di agonisti e personal trainer, sempre più convinto che il mondo delle gare – quelle pulite però, altrimenti parliamo del nulla cosmico – sia la direzione verso la quale è necessario guardare per capire fino in fondo le dinamiche di uno sport. O di un non-sport, come alcuni definiscono la cultura fisica.


L’autore impegnato sul palco di gara – Musclemania 2010

 

Per un attimo, ripartiamo da zero. Facciamo finta di non aver speso centinaia di euro in manuali di bodybuilding, riviste, giornali con copertine debordanti di deltoidi a palla, di non aver frequentato corsi con l’intento di capire il segreto dei culturisti professionisti, quelli del BB “non natural”. Dimentichiamoci di essere stati ore davanti al pc a cercare le schede di allenamento di questo o quell’altro e di non aver visto e rivisto Coleman che fa squat, chiedendoci se fa gambe 1, 2 o 10 volte a settimana. “Ah, quindi il mercoledì fa un richiamo per i femorali”. Per non parlare degli studi letti su pubmed; che quando vediamo scritto “increased protein synthesis”  ci brillano gli occhi.

Semplicemente, osserviamo. Siamo seduti sulle gradinate del campo di atletica per la finale di lancio del peso, e non si può non vedere come la componente muscolare degli atleti sia esasperata all’ennesima potenza. Uno spessore della schiena da oscurare il sole. E le gambe sembrano due tacchini. E quelle dei weightlifters…? Vogliamo parlarne? Ventri muscolari pazzeschi e una qualità, una durezza uniche. Questi sono esempi della cosiddetta Ipertrofia Funzionale, funzionale poiché la si intende come “collaterale”, ottenuta non pensando ad essa come primario obiettivo. Funzionale nel senso che il muscolo cresce mentre io sto ricercando una prestazione.

Abbiamo molto da imparare da chi è grosso senza volerlo essere. Soprattutto se è testato dalla WADA mediamente 6 volte all’anno.

Una cosa che mi ha fatto davvero riflettere è che il concetto di hardgainer appartenga solamente al mondo del culturismo. Nell’atletica pesante non ve n’è traccia. Ogni soggetto avrà una risposta adattiva differente, ovvio, ma mai nessuno che resti con le gambe secche dopo 5 anni di squat fatto come Dio comanda. Garantito. Garantito anche se è un ragazzino.

Cosa accomuna weightlifters, martellisti, pesisti, discoboli e powerlifters? BUONI VOLUMI DI ALLENAMENTO, ALTA FREQUENZA e RICERCA DELLA MASSIMA TENSIONE MUSCOLARE.

Basta un minimo di capacità deduttiva per vedere come lo sviluppo muscolare sia correlato alla capacità che l’atleta ha di generare forza. ATTENZIONE, scrivo correlato, non parlo di causalità diretta.
Tutto fuorché la “classica” forza fatta per 4 settimane in 6×3, che poi la utilizzo per spingere di più nello squat a 20 ripetizioni… La forza nello sport evoluto va intesa come ricerca di coordinazione, capacità propriocettive, attivazione neuro-muscolare, come abilità nel passare da 0 a 100 cavalli nel giro di pochi decimi di secondo. Tutto ciò apre all’atleta culturista e al suo preparatore un panorama a dir poco innovativo e dona alla cultura fisica una dignità nuova, che la possa far diventare più simile ad uno sport, grazie ad una PROGRAMMAZIONE sensata. Possibile ci si continui ad allenare senza dare un occhio al passato e uno al futuro?

Il passato remoto: anni ’50 e ’60, ricordiamoci cosa facevano coloro che ottenevano risultati d’élite anche quando non si ci abbuffava di proteine e non c’erano paranoie su cortisolo e ricariche di carboidrati. I bodybuilder del tempo – naturali o con dosi infinitesime rispetto ad oggi – erano tutto fuorché pompatori. Andavano pesante. Esercizi base, cose semplici e ripetute nel tempo. Alta frequenza di stimolo per muscolo, anche 3 volte a settimana, aumento il peso quando riesco a farne 12, e riparto da 8, e così via… Di nuovo: VOLUME, FREQUENZA, ALTA TENSIONE MUSCOLARE.

Il passato prossimo: bisogna pensare a come mi sono allenato fino a ieri. Iniziare così, dal nulla, un nuovo programma, senza contestualizzarlo e senza capire come il mio corpo ha risposto nell’ultimo semestre agli stimoli che gli stavo dando…è controproducente. Passare di colpo da monofrequenza a squat 1500 volte a settimana ha lo stesso senso di finire i 100m, cambiarsi le scarpe e fare la maratona di New York. Arrivando ultimo in tutte e due le gare. L’acido lattico prodotto durante l’allenamento innalza a dismisura il cortisolo se il corpo non è stato preparato a gestirlo e soprattutto a smaltirlo. Dobbiamo cercare adattamenti, non polverizzare il muscolo mandandolo semplicemente in shock.

Il futuro: in che direzione voglio andare. L’evoluzione del corpo rispetterà i miei input. Più qualità,  ventri stondati, vascolarizzazione aumentata. Come vanno modulati i volumi e le intensità di lavoro, la DENSITA’ dell’allenamento durante l’anno e la stagione agonistica? Non vogliamo una prestazione pura, siamo culturisti, per cui non si possono fare le stesse identiche cose che fa un discobolo o un ginnasta. Sebbene questi ci insegnino comunque molto su come ottenere grandi volumi muscolari, le regole del gioco sono diverse. Il lavoro lattacido non può e NON DEVE essere eliminato totalmente; l’afflusso sanguigno e l’acidità che questo tipo di sforzo determinano sono di grandissima utilità per l’innesco della sintesi proteica, per le rotondità dei ventri muscolari, la vascolarizzazione, la ritenzione idrica intramuscolo, ecc…

Torniamo ai nostri gettatori del peso, ai lottatori greco-romani. Una cosa che mi ha sempre affascinato è vedere come in relazione all’allenamento e soprattutto alla forza dell’atleta la muscolatura abbia un “look” diverso. Non c’è niente da fare: il bodybuilder-pompo-e-basta per antonomasia ha muscoli stondati ma poco densi; sembrano letteralmente pieni d’acqua. Al punto da pensarli soffici al tatto. Il pesista l’esatto contrario. Il pesista sembra fatto di roccia anche se non è tirato. Perché ciò? Chi, per rispondere, ricorre alla distinzione tra ipertrofia miofibrillare e sarcoplasmatica cade in errore: come può la composizione interna di una fibra, seppellita da strati e strati di connettivo, capillari sparsi qua e là, da uno strato di adipe più o meno spesso e poi dalla pelle, influenzare l’apparenza del muscolo? Per capire come sia fallace questa considerazione, un’immagine che può semplificare l’idea è la seguente. Si prenda un pacco di spaghetti. Si rimuova la confezione e lo si rivesta con un palloncino. Da fuori, essendo quest’ultimo stretto, cosa vediamo? Vediamo dentro ad ogni spaghetto oppure vediamo il sacchetto che li ricopre? Cambia qualcosa se lo spaghetto è di farro, di riso o di grano normale?  Assolutamente no, da fuori la differenza non si nota. Per cui  non ci interessa se il nostro atleta ha le fibre farcite di glicogeno oppure solamente costituite da actina e miosina.
Il tessuto connettivo (in particolare l’epimisio, se vogliamo entrare nel tecnico) ha invece un’influenza ENORME sull’impatto visivo. Ma si sa, il connettivo si adatta solamente in funzione dello stress meccanico applicato al muscolo. E qui ritorniamo da capo: devo ripetere? VOLUME, FREQUENZA e ALTE TENSIONI. Forza utile sotto ogni aspetto. Dallo sviluppo all’estetica.

Il bodybuilding così come viene visto e praticato oggi ha risentito troppo dell’influenza di correnti oltreoceano che fanno del doping il loro cavallo di battaglia. Il dopato parte già col motore di una Ferrari. Non è detto che vinca, può fondere anche lui, ma 500m di vantaggio ce li ha sempre. Se siamo puliti davvero, sulla nostra Panda è necessario calcolare tutto, dalle sospensioni al filtro dell’olio. E dobbiamo andarci a prendere – sudando – quello che alla Ferrari è stato regalato dal concessionario. Parafrasando, il testosterone esogeno regala vantaggi incolmabili a livello di attivazione e quindi di potenza sviluppata, vedendo il natural costretto – se vuole crescere – a spendere tempo soprattutto in un’attività generalmente superflua al bodybuilder dopato: lo SVILUPPO DELLA FORZA.

Troppo spesso nel bodybuilding non si calcola niente, siamo tutti diversi, “fidati questa scheda funziona”, vale per te quello che non vale per me, sono sovrallenato, e infatti…Il livello medio è disastrosamente basso.

Immagine di sfondo © 2013 Luca Anzalone Photography: www.anzaloneluca.it

Per maggiori info sull’evento clicca sulla locandina


Sabato 07 Dicembre 2013, presso la Palestra A.S.D. Olympian’s Gym in Via Brodolini, 35 – Figline Valdarno (FI), l’AIF – Accademia Italiana della Forza e Olympian’s News presenteranno un evento unico nel suo genere: “IPERTROFIA 2.0 - Analisi scientifiche ed evoluzioni pratiche dei processi ipertrofici nella moderna visione del Natural Bodybuilding“.

Un seminario al quale avrò il grandissimo piacere di partecipare in qualità di relatore insieme al Dott. Francesco Pelizza e due campioni con la C maiuscola: Francesco PaleariAlfredo Tessitore che, dopo aver esposto la loro programmazione annuale, saranno disponibili per domande e chiarimenti sulla loro preparazione.

Se volete delle risposte sul perché le gambe crescono ad allenarle 5 volte a settimana, su come gestire volumi di lavoro, cedimento, lattacido o alattacido, su come usare – e in che periodo – gli integratori, magari scoprendone di nuovi, se volete parlare con l’Elite del Natural bodybuilding Italiano e togliervi la soddisfazione di sapere come ci si può tirare a livelli da palco senza limitare troppo i carboidrati ed uccidersi di cardio, se volete uscire con domande diverse rispetto a quando siete entrati ci vediamo ad “IPERTROFIA 2.0“: troverete tutti i dettagli qui.

 

Note sull’autore

Amerigo Brunetti - Campione Nord Italia e Vicecampione Italiano 2010 Musclemania. Attualmente studente in Ingegneria Meccanica e Preparatore di Natural Bodybuilding.

IPERTROFIA 2.0

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AIF – Accademia Italiana della Forza e Olympian’s News

presentano

IPERTROFIA 2.0

Analisi scientifiche ed evoluzioni pratiche dei processi ipertrofici
nella moderna visione del Natural Bodybuilding

Sabato 07 Dicembre 2013Palestra A.S.D. Olympian’s Gym (Firenze)

Francesco PALEARIAlfredo TESSITOREAmerigo BRUNETTIFrancesco PELIZZA


Immagine di sfondo © 2013 Luca Anzalone Photography: www.anzaloneluca.it

Clicca sull’immagine per scaricare la locandina in alta risoluzione: stampala ed affiggila nella bacheca del tuo ufficio, della scuola o dell’Università, della palestra o del centro sportivo che frequenti o presso il quale collabori, del tuo studio professionale ed ovunque possa aiutarci a diffondere un approccio scientifico alla formazione in ambito sportivo!

 

QUANDOSabato 07 Dicembre 2013 – Orario: 09:30/19:30

DOVEPalestra A.S.D. Olympian’s Gym, Via Brodolini, 35 – Figline Valdarno (FI)
Come raggiungere la sede del seminario: clicca qui

PARTNEROlympian’s News –  Sito dedicato: clicca qui

Segui l’evento su Facebook: clicca qui


Ci trovi anche su OLYMPIAN’S NEWS n° 143 (Novembre/Dicembre) da pagina 99

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RELATORI

Francesco PALEARI - Da oltre 20 anni nel settore del natural bodybuilding, nel 2012 vince il titolo assoluto NBFI aggiudicandosi la PROCARD: un fregio riservato a pochissimi in Italia!


Francesco PALEARI - Foto archivio NBFI, per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati



Francesco PALEARI - Foto archivio NBFI, per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati


Alfredo TESSITORE – 26 anni:

  • due volte Campione Centro Sud Italia FIBBN (2011-2012)
  • Campione Centro Sud Italia AINBB 2013
  • Vice Campione Italiano 2013 HP taglie medie


Alfredo TESSITORE - Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati


Alfredo TESSITORE - Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

Amerigo BRUNETTI - Attualmente studente in Ingegneria Meccanica e Preparatore di Natural Bodybuilding:

  • Campione Nord Italia
  • Vice Campione Italiano 2010 Musclemania


Amerigo BRUNETTI - Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati


Francesco PELIZZA – Dottore in Biotecnologie (Università di Parma – Dipartimento di Bioscienze), esperto in Biochimica e Biologia Molecolare, appassionato di scienze dell’alimentazione.

Pluricampione natural di Powerlifing a livello nazionale ed internazionale.

Record personali assoluti in gara:

  • Squat: 340kg (WEC, Settembre 2012 – Hamm, Luxembourg)
  • Panca: 270,5kg (Trofeo Bertoletti – Giugno 2013, Senigallia)
  • Stacco da terra: 327,5kg (Campionato Italiano di specialità, Cat +120kg – Ferrara 2012)
  • Totale: 920kg (WEC, Settembre 2012 – Hamm, Luxembourg)


Francesco PELIZZA - Foto archivio FIPL, Federazione Italiana PowerLifting: tutti i diritti riservati

 

PROGRAMMA DEL SEMINARIO

09.30/10.00 – ACCREDITAMENTO

10.00/11.00 – Il Natural Bodybuilding: una visione internazionale nel mutamento degli approcci e dei percorsi di ricerca. Al di là delle visioni stereotipate e della disparità di approcci: quando l’ipertrofia è un mezzo e non un fine?

11.00/12.00 – “Dentro il muscolo”: un viaggio nelle scienza dell’ipertrofia muscolare alla ricerca di  un approccio al training muscolare, tra presente, passato e futuro. La forza e il pompaggio: le chiavi di volta del processo ipertrofico.

12.00/13.00 – Ricerca, Alimentazione, Integrazione: cosa dice la scienza. Quanto la dissonanza con il mondo non Natural ha creato distorsioni nei concetti di base.

13.00/ 14.00 – PAUSA PRANZO

14.00/15.00 – Pianificazione e Periodizzazione per massimizzare la risposta ipetrofica: il rapporto tra la necessità dello sviluppo della forza muscolare e la specificità del pompaggio. Timing e proposte di lavoro pratico per ottimizzare le scelte strategiche.

15.00/17.00 – Francesco Paleari e Alfredo Tessitore: due storie di successo; metodi di lavoro, abitudini, approcci. Dall’esperienza di due Natural Bodybuilder d’élite, un percorso razionale replicabile in contesti differenti.

17.00/Chiusura lavori – Tavola Rotonda: D&R con i partecipanti.

 

COSTO

—> euro 90,00 – pagamento a mezzo Bonifico Bancario anticipato alle seguenti coordinate:

CASSA PADANA BCC - Filiale Taneto Di Gattatico
cc intestato a A.S.D. ACCADEMIA ITALIANA DELLA FORZA
IBAN: IT35 B083 4066 3400 0000 0096 860

—> euro 110,00 – pagamento in contanti sul posto

Dopo aver effettuato il versamento inviare via mail:

  1. copia Pdf o Jpg della ricevuta in possesso
  2. dati anagrafici dell’iscritto – Nome e Cognome, Comune di residenza, indirizzo E-mail

al seguente indirizzo: iscrizioni@accademiaitalianaforza.it

Oggetto: “Iscrizione al seminario IPERTROFIA 2.0 – Firenze”.

INSIDE BODYBUILDING: OFFERTA LATTATO 0,90 €/LITRO!

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a cura di Amerigo Brunetti

Amerigo Brunetti – Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

“Bodybuilding is a trick” dice sempre un mio amico balinese, unico ad avere vinto il mondiale di Natural BB in due federazioni diverse.

Inganno, insomma. Trucchetti.

L’evoluzione che ha il muscolo durante il periodo di allenamento non riguarda solamente la sua dimensione, il suo metabolismo. Troppo spesso ci scordiamo che l’atleta preso in un determinato momento dell’anno può sembrare diverso alla vista di un osservatore rispetto al se stesso di un altro momento. Non è solo una questione di “tiraggio”, né prettamente di volume totale.

Il culturista perfetto ha muscoli stondati che sembrano esplodere come in una statua alla quale sia stato aggiunto del materiale dopo una prima bozza. Il non plus ultra è proprio il ventre muscolare dilatato; inserzioni piccole e pance disegnate col compasso. Ma… Come si ottiene ciò? È possibile lavorare per cambiare le caratteristiche muscolari donateci dalla genetica?

La risposta è SÌ.

Ci vogliono tempo e una strutturazione degli allenamenti programmata nel minimo dettaglio. A volte basta la genetica: molti bodybuilder di colore si sono ritrovati con rotondità da fare invidia a Giotto; il loro percorso è di facile gestione: non fare altro che assecondare ciò che madre natura ha gentilmente donato. Crescere, tirarsi: punto e basta. Se aggiungiamo che certe popolazioni sono meno inclini ad accusare lo stress fisico/mentale il gioco è fatto.

Il 90% degli utenti della sala pesi, invece, questa qualità se la deve andare a cercare, se vuole eccellere. Il pompaggio è sicuramente la chiave. Ciò che dona al muscolo la sua forma è la fascia profonda, strato connettivale che riveste singoli muscoli o gruppi di questi. E facile vedere che i “pompatori” per eccellenza hanno meno separazione muscolare di altri: giusto no? Grossi, enormi, ma è poco evidente dove finisce il deltoide anteriore e inizia il petto. La fascia, a forza di allenamenti ultra lattacidi e – troppo spesso – di oli iniettati, si è allargata, facilitando la crescita muscolare e la forma tonda. Un sacchetto largo però non definisce i contorni. Tutt’altra storia racconta il corpo di chi rifugge l’alto volume.
Wheeler vs Yates. Soft vs hard. Gomma contro roccia. Sì, parliamo di non-natural, ma l’esempio calza a pennello. E sono regole che valgono sempre. Il corpo dei bodybuilders ci racconta inequivocabilmente il loro allenamento.

Se l’atleta è pulito la ricerca di questo effetto di muscolo esplosivo è tanto difficile quanto la carta vincente. Effetto da tenere sotto controllo: se ci si concentra eccessivamente sull’accumulo di fluidi nel muscolo, la perdita di densità muscolare risulta deleteria. Basta guardare le gambe per i 3 giorni successivi all’allenamento: la loro condizione edematosa ci impedisce di vedere il confine tra retto femorale e vasto mediale.

Ok: iniziamo ad addentrarci nel “Cosa succede, come si fa”.

Pienezza muscolare significa tre cose: volume sarcoplasmatico esasperato, aumentato flusso sanguigno e accumulo di fluidi nell’interstizio, lo spazio ricco di collagene in cui sono inserite la fibre, che funge anche da collante tra la fibra vera e propria e il tendine. L’ipertrofia della miofibrilla paradossalmente conta poco nell’effetto visivo.

L’aumento del flusso sanguigno avviene principalmente in quattro circostanze, delle quali ci interessano le ultime tre: maggiore bisogno di ossigeno (attivazione dei meccanismi di respirazione aerobica), necessità di incremento della conversione di ADP in ATP (per fare questo serve nutrimento come il glucosio), produzione di scorie dovute alla contrazione muscolare che devono essere smaltite e direzionate ad organi o distretti differenti, riparazione dei danni strutturali post allenamento. Questo comporta sostanze nutritive in maggior quantità ma anche elevazione del metabolismo per la resintesi del glicogeno. L’aumento del flusso sanguigno è generalmente inteso come un effetto a breve termine. A fine allenamento sono “pieno come una zampogna”: mi sveglio al mattino e il pompaggio è solo un ricordo. A breve termine solo se lo stimolo non è cronico: perché, se noi ogni settimana “pompiamo” come dannati, il corpo si adatta anche a questa condizione costruendo nuovi vasi (vasculogenesi) e/o incrementando le dimensioni di altri (angiogenesi). La prima decisamente più trascurabile della seconda. Questo significa maggior volume sanguigno trattenuto nei capillari e quindi maggior volume anche a riposo. Ovvio che durante allenamento l’effetto sia esponenziale.

L’accumulo di fluidi nell’interstizio è influenzato dalle contrazioni ritmiche tipiche degli allenamenti ad alte reps, che provoca una aumentata pressione arteriosa forzando il plasma ad uscire dai capillari. A mio avviso c’è però un altro fattore che viene spesso trascurato. Più scorie sono presenti in questa zona (appena fuoriuscite dalla cellula in fase di contrazione che si libera degli scarti) maggiore sarà la forza osmotica che tratterrà H2O in questa “no man’s land”. L’interstizio difatti è spesso inteso come una semplice zona di passaggio tra cellula (fibra muscolare nel nostro caso) e sangue. In realtà è ricco di proteine, collagene e mediatori della sintesi proteica. È il regno degli ioni sodio. Inutile dire che una riduzione troppo drastica di questo importantissimo elettrolita – spesso “sotto gara” si vedono atleti che lo eliminano completamente dalla propria alimentazione – va a inficiare la pienezza, soprattutto dei gruppi muscolari che sono adatti ad essere stimolati con pompaggio, come deltoidi e braccia. Chi abusa di diuretici, oltre a rischiare la vita, ha pelle sottilissima ma spesso muscoli piatti.

Atleti naturali: sodio sempre alto. Già ci manca l’idratazione derivante dallo steroide esogeno, se priviamo il muscolo anche dei suoi elettroliti…Cosa rimane?!

Per chi gareggia può essere valida una piccola riduzione di Na sotto gara ma senza esagerare. Da reinserire tassativamente il giorno della gara.

Il sarcoplasma è la componente non contrattile della fibra, il citosol della cellula muscolare. Provvede al nutrimento delle miofibrille che vi sono immerse e attraverso esso navigano gli scarti della contrazione muscolare, diretti ad essere riassorbiti dal sistema vascolare. Di fronte a sforzi prolungati che necessitano della scissione del glicogeno muscolare il corpo si adatta creando un serbatoio energetico più grande, in modo da poter sostenere al meglio tale tipo di attività. Per questo l’incremento delle riserve di glicogeno e una maggiore presenza di mitocondri che producano energia durante sforzi fisici prolungati nel tempo sono gli adattamenti sul lungo periodo che si possono riscontare nel sarcoplasma. Nel breve termine, invece, a fare la differenza è la maggiore ritenzione di potassio insieme ad un grande accumulo di sottoprodotti del lavoro di contrazione; e qui si arriva al punto: ACIDO LATTICO.

Durante la glicolisi (scissione del glicogeno o direttamente del glucosio) si ha un guadagno netto di ioni fosfato e la produzione di questa “scoria naturale della contrazione muscolare”. All’interno della fibra è dissociato in ioni: LATTATO (La-) e idrogeno (H+). Si è sempre pensato che il lattato sia il diretto responsabile di un’aumentata acidità all’interno della fibra e, conseguentemente, dell’insorgere della fatica muscolare.  Certamente la somma di tutte le reazioni coinvolte nel meccanismo di contrazione miofibrillare porta ad una aumentata acidità: ma additare il lattato come causa di tutti i mali è errato; non è ancora esattamente chiaro quali siano i meccanismi che fanno interrompere la contrazione. Il solo abbassamento del Ph non causa fatica, il solo accumulo di lattato non causa fatica… Insomma: non è così facile come si pensa. Semplicemente, possiamo dire che quando il livello di acido lattico (e non lattato, poiché è dissociato come lattato e idrogeno solo DENTRO alla cellula), raggiunge livelli SANGUIGNI eccessivamente elevati si ha il raggiungimento della cosiddetta “lactate threshold”, forzando l’atleta alla cessazione dell’attività fisica.

Ciò che interessa qui è quello che accade dentro al muscolo, durante sforzi che non vedono un innalzamento drastico dell’acido lattico sanguigno ma un aumento vertiginoso della sua concentrazione nel singolo muscolo.

L’aumentata concentrazione di sostanze dissolte nella cellula provoca un effetto ben conosciuto: OSMOSI. L’acqua tende ad entrare nella cellula passando da una zona a minore concentrazione di soluto (fluidi extracellulari) ad una con concentrazione maggiore (interno della fibra) e questa si gonfia. Volete sapere come mai quando siete a metà allenamento vi vedete anche più tirati? Eccovi soddisfatti.

Ma come fa poi il lattato ad uscire attraverso la membrana cellulare e cosa accade se ciò non avviene entro poco tempo? Esso può lasciare la cellula unicamente attraverso un processo chiamato diffusione facilitata, ovvero legandosi con particolari proteine di trasporto nel sarcolemma. Quando esso viene prodotto in grandi quantità, la rimozione è lenta perché le proteine di trasporto sono “affogate” dal lattato e questo non può uscire alla stessa velocità con cui è stato prodotto. Ecco dunque che l’accumulo di questo ione causa l’ingresso di H2O dalla membrana. Una volta uscito dalla cellula l’acido lattico attraversa la matrice extracellulare (altra zona in cui attrarrà acqua) e viene smaltito attraverso il sistema venoso, che nel frattempo ha incrementato il volume ematico locale per favorire la rimozione degli scarti dell’attività muscolare. Il risultato di tutto ciò è un muscolo così pieno che sembra stia per scoppiare.

Maggiore è il tempo che il lattato trascorre nel muscolo, più a lungo si manterrà il pompaggio e quindi si avrà il perdurare di una pressione interna che forza la fascia ad espandersi. Sul singolo allenamento non ci sarà particolare riscontro ottico, ma dopo qualche mese i risultati saranno evidenti.

Facendo un resoconto finale di quanto scritto finora e cercando di tradurre in pratica questi concetti teorici, il punto essenziale è che per ottenere “stondature” e ventri muscolari da fuoriclasse è necessario allenarsi con serie e tempi sotto tensione prolungati. Attivazione della glicolisi (quindi produzione di acido lattico con conseguente effetto osmotico), aumento sul lungo periodo delle riserve di glicogeno, dilatazione della fascia, accrescimento e formazione di vasi sanguigni. Recuperi brevi e tecniche per aumentare lo shock muscolare sono essenziali. Una persona che a denti stretti potrei definire il mio primo “allenatore” sosteneva addirittura che non vi fosse necessità di riscaldamento con certi schemi ad alte ripetizioni. Tralasciando il fatto che le articolazioni non ne giovino affatto, non mi stupisco che il suo metodo funzionasse. Si tratta di “bastonare” il muscolo target da subito, quasi cogliendolo di sorpresa (passatemi il termine…). La reazione di pompaggio è spropositata, provare per credere.

Prendiamo ad esempio l’allenamento della schiena di Alfredo Tessitore, Vicecampione Italiano di Natural Bodybuilding nel 2013. La sua capacità di reclutamento è indiscutibilmente elevata. Per un lungo periodo ha prestato attenzione (per volontà o semplice intuizione) al carico ed al cedimento sulle basse ripetizioni piuttosto che alla totale congestione muscolare per lattato. Le capacità che ha acquisito durante i primi anni gli consentono oggi di trarre il massimo giovamento da un allenamento a TUT (Time Under Tension) elevatissimo e con poca componente di “forza, velocità, accelerazione”.

Ad oggi ritengo sia uno dei casi più lampanti di atleta alla ricerca del massimo allargamento miofasciale. Questo programma è stato seguito nel mese di Agosto (ultima gara a fine Giugno), sfruttando la maggiore risposta muscolare del periodo post competizione.

Alfredo TESSITORE – Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

In questa fase al mero volume ho aggiunto alcune semplici tecniche volte ad aumentare il livello d’intensità. (Con intensità non si intende la percentuale di carico, piuttosto l’idea di stress metabolico subìto dal muscolo attraverso forzate, negative, ecc… Ndt)

Ogni ripetizione è stata curata: non ho mai amato il cheating ed ho sempre cercato di trattenere il carico il più possibile in fase eccentrica.

Ho cercato di tenere il volume abbastanza alto, con l’intenzione di far affluire quanto più sangue possibile nei muscoli interessati, anche se questo non è stato lo scopo primario: l’obbiettivo principale è stato tenere il tempo di tensione totale – e nella serie – quanto più lungo possibile e nettamente superiore al tempo di riposo.

I recuperi corti sono serviti a questo; in un’ora di workout ho avuto 40 minuti di tensione e 20 di riposo.

Ho quindi lavorato in primis sulla tensione reiterata per un numero consistente di ripetizioni, senza ricorrere a carichi esagerati ma sfruttando le leve in maniera spesso più sfavorevole rispetto alla tradizionale esecuzione. Quindi carico “giusto” e mai troppo basso, volto al mero pumping, rom e TUT esasperati… Tensione nelle fibre lunga ed intensa! Questo ha portato anche ad una “vera” ipertrofia del muscolo. La risposta positiva al pump è stata anche data da un maggior afflusso di sangue durante ogni allenamento.

L’obbiettivo primario non è stato quindi la ricerca di una mera sensazione di “pienezza” del muscolo, quanto piuttosto cercare di generare tensioni medio-alte prolungate per tempi lunghissimi: un vero assalto alle fibre, uno shock!

Alfredo TESSITORE – Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

TABELLA ALLENAMENTO MUSCOLI DORSALI

 

Lat Machine al petto presa prona larga (serie x ripetizioni): 4×12, 1×8 – Rest: 45’’-1’. Carico costante ed ultima serie con incremento del carico di circa il 30% .

Rematori manubri prono su panca a 30° (serie x ripetizioni): 5 x drop set – Rest: 45’’. Eseguo un rematore poco “estetico” o corretto dal punto di vista dei canonici metodi: il mio unico obbiettivo è quello di disegnare con il gomito un arco di circonferenza che termini all’altezza del torace.

T-bar “banded” (serie x ripetizioni): 5 x (8+drop max). Rest: 1’.  Tecnica “banded”: allaccio la banda nella parte più interna della barra, in modo da poter scalare il carico continuando ad avere la resistenza elastica anche nelle ripetizioni successive, nelle quali enfatizzo maggiormente la contrazione di picco e la fase eccentrica.

Row machine freeweight “banded”: il carico è calibrato per permettere 12 ripetizioni. L’esercizio si esegue a braccio singolo, alternandoli senza pause ed andando avanti fin quando non sarà possibile effettuare correttamente più di 5 ripetizioni.

Pullover al cavo basso: set unico ad esaurimento. Preferisco questa versione al classico pullover poiché la tensione continua data dal cavo elimina quei punti morti che in questo esercizio capitano proprio in corrispondenza della massima contrazione muscolare.

Allenamenti settimanali per muscolo (accaniti sostenitori della multifrequenza, reggetevi alla sedia!): 1 a settimana.

Durata media allenamento: 45’, massimo 60’.

Alfredo Tessitore

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Quante volte è capitato di vedere atleti naturali perdere le forme muscolari “da gara” immediatamente dopo la competizione? Le rotondità spariscono. Fossero atleti marginali non ci sarebbe da farsi questa domanda: spesso però si parla di atleti che vincono e che privilegiano il pompaggio solamente in fase pre-contest, che siano 3, 4, 6 mesi poco importa; nel resto dell’anno si dedicano più ad altre modalità di lavoro. Chi si “butta” sulla “forza”, allungando i tempi di recupero; chi semplicemente se la prende “più comoda” per dare riposo al corpo dagli stress allenanti. Off season privilegiano la componente contrattile, sotto gara quella più “volatile”: che però fa “scalare” la classifica.

Quindi: multifrequenza, volume, forza, pompaggio, cedimento, buffer; va bene tutto e niente…

Oppure ci sono delle regole?

Per eccellere nel Bodybuilding Naturale è necessario studiare una programmazione sensata che assecondi le peculiarità del singolo atleta.

Quello di Alfredo è un esempio: UN esempio; anche se tutti i campioni Naturali hanno tratti comuni.

Controluce un filo lega inevitabilmente chi ha grandi risultati.

Invisibile se ci si perde nel dettaglio: chiarissimo se si guarda il quadro generale.

 


Immagine di sfondo © 2013 Luca Anzalone Photography: www.anzaloneluca.it

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Vi ricordiamo che Sabato 07 Dicembre 2013, presso la Palestra A.S.D. Olympian’s Gym – Via Brodolini 35, Figline Valdarno (FI), Amerigo Brunetti sarà tra i relatori del seminario “IPERTROFIA 2.0 – Analisi scientifiche ed evoluzioni pratiche dei processi ipertrofici nella moderna visione del Natural Bodybuilding” insieme ad Alfredo Tessitore, Francesco Paleari e al Dott. Francesco Pelizza per parlare di Metodologia, Pianificazione e Periodizzazione dell’Allenamento finalizzato all’ipertrofia muscolare nel Natural Bodybuilgding.

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Note sull’autore

Amerigo Brunetti - Campione Nord Italia e Vicecampione Italiano 2010 Musclemania. Attualmente studente in Ingegneria Meccanica e Preparatore di Natural Bodybuilding.

VOCE DEL VERBO PROGRAMMARE

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a cura di Amerigo Brunetti

Francesco PALEARI – Foto archivio NBFI, per gentile concessione dell’autore:
tutti i diritti riservati

Alternanza di fasi organizzate con pertinenza logica: così mi piace vedere la vita sportiva di un atleta. Filo conduttore degli allenamenti che guida chi compete verso il risultato. Oggi faccio questo perché ieri ho fatto X e domani otterrò Y.

Concedendo un giusto spazio all’interpretazione della singola situazione e del soggetto che abbiamo davanti, è innegabile come nel Natural BB i grandi risultati seguano regole ben precise.

Raramente si vedono miglioramenti significativi dal punto di vista fisico se non si presta attenzione ad attivazione muscolare, gestione di carichi importanti e finissimo controllo del sistema nervoso.

Queste sono le qualità che vanno inseguite nei primi anni di allenamento.

Il principiante – sottolineo: MOLTI sono i principianti che vedo in giro per palestre, nonostante l’anzianità di allenamento – dovrebbe dedicarsi unicamente al forgiare un sistema nervoso con due caratteristiche: 1) precisione certosina, ovvero “controllo il bilanciere con la stessa destrezza con cui maneggio un foglio di carta”; 2) tensione elettrica dirompente non appena viene richiesta.

La massa? Arriverà. È una necessaria conseguenza, un adattamento inevitabile e da cui non si può prescindere quando il muscolo viene stimolato in questa maniera. Certo, sul breve/medio periodo ci sono metodi nettamente più produttivi se il parametro è lo specchio. Ma poi…? Troppo stress all’interno di un organismo a cui non è stato lasciato il tempo di adattarsi, sovraccarico di certi sistemi e il giochino si blocca. Se zappo tutti i giorni a tutte le ore, sulle mani mi si formano le piaghe. Tempo 15 giorni e mi devo fermare. Se zappo un giorno sì e uno no, l’adattamento è progressivo, poi passo a farlo tutti i giorni e mi si formano i calli. Ecco, noi vogliamo i calli. Ma non tra 15 giorni. Facciamo per l’anno prossimo.

Lungimiranza. Guardare avanti e fare un progetto. Questo è programmare.

Ha senso farlo anche a medio/breve termine e non solo in scala pluriennale: per chi compete si prevedono fasi off season/ in season e non “massa” VS “definizione”, come siamo abituati a sentire: ingrasso come un bove e poi dimagrisco. Assurdo.

Cambiano i parametri dall’allenamento, cambia l’alimentazione poiché cambiano le priorità, ma senza stravolgere di colpo la situazione con schede che non hanno legame con le precedenti.

Fuori gara non devo certo preoccuparmi in modo maniacale delle striature sul tricipite o di quanta ritenzione idrica ho sull’addome. Anzi, preferisco dare respiro al corpo e al sistema nervoso. Immediatamente dopo la gara si gode di una fase anabolica che va gestita molto bene, soprattutto a livello alimentare (i carboidrati che salgono gradualmente dovrebbero diventare un MUST per i natural BB). L’allenamento diventa necessariamente meno denso – tempi di recupero più comodi – si cura l’esecuzione dei grandi multiarticolari e si evita quell’infiammazione cronica che spesso affligge chi “pesta duro” sul sistema lattacido tutto l’anno. Con DOMS purtroppo correlati e che mi limitano nella frequenza.

Magicamente, si cresce (muscolarmente parlando…).

Al contrario, a 20 – 16 settimane dalla gara il metodo cambia. Attenzione che passa dal sistema al singolo muscolo. Volume degli esercizi complementari che aumenta vertiginosamente con l’avvicinarsi del periodo competitivo e quello dei multiarticolari che scende a picco. L’intensità (percentuale sul massimale) va comunque mantenuta elevata sui grandi esercizi; anzi, va aumentata. Poche alzate, ma tecniche e pesantissime. Il segnale che voglio dare al corpo è proprio quello di mantenere quanta più massa possibile anche se sono in restrizione calorica. Allo stondamento dei ventri muscolari e al generare un volume di lavoro ottimale ci pensano gli esercizi di isolamento. Sì, perché poi alla fine il BB agonistico altro non è che isolamento. Devo mettere in mostra ogni singolo dettaglio.

Sono categorico: senza uno studio attento della fase precedente (l’off-season), quella pre-gara viene fortemente penalizzata. Spesso risulta proprio un disastro.

Chi non gareggia può – anzi, direi DEVE – godere ugualmente di uno studio simile nell’organizzare l’allenamento. Semplicemente devo avere chiari gli obbiettivi che voglio ottenere. Li scrivo. Voglio volume? Voglio proporzionare un gruppo meno sviluppato degli altri? Do priorità alla qualità, il volume non mi interessa? Da qui foglio bianco e via andare.

C’è qualcuno che a mio avviso incarna la più saggia e dosata programmazione annuale, tanto da volerlo fortemente come relatore AIF: il professionista WNBF Francesco Paleari.

Atleta da sempre pulito, è un esempio anomalo quanto illuminante nel panorama dell’élite del natural bodybuilding italiano e non solo. Come dico sempre, del VERO natural bodybuilding. Ci tengo passi il concetto. Anomalo, ho scritto. Sì, perché fino ai trent’anni l’unica cosa che gli avremmo potuto dire guardando le sue foto di gara sarebbe stato: “non sei particolarmente portato. Sai la genetica in questo sport…”

E invece, ha stravolto i suoi schemi. Tabula rasa. Attenzione alla forza. Attivazione. Buttato via tutte le vecchie schede, usando quell’intuito e quelle conoscenze maturate poi nel tempo che nel 2012 lo hanno portato a vincere l’assoluto in NBFI. L’assoluto. Da “poco portato”, a vincere una coppa alta 50 cm che testimonia che sei stato il migliore. Farlo dopo i trenta. Non so se mi spiego.

Sono queste le cose che devono far pensare. Quante volte ci hanno parlato di limite genetico? Per carità, il limite esiste. Però, almeno dobbiamo fare tutto il possibile per raggiungere il nostro 100% prima di poterci pronunciare sul fatto che madre natura è stata poco gentile con noi.

Il “tutto il possibile” di Francesco ha previsto allenamenti dedicati alla forza. Al controllo. Alla tecnica.

Non sappiamo dove possiamo arrivare finché non facciamo le cose giuste per raggiungere l’obbiettivo. Atleti in stallo da anni che con due accorgimenti tecnici potrebbero fare il salto, diventando anch’essi un’anomalia in un mondo in cui se non hai risultati con allenamenti tradizionali e uguali da 20 anni sei negato per questo sport.

Ora, per gentile concessione di Francesco Paleari, vedremo due schede di questo campione messe a confronto. La prima riguarda il programma seguito durante il periodo lontano della gare, certamente più rilassato a livello di stress.

Francesco PALEARI - Foto archivio NBFI, per gentile concessione dell’autore:
tutti i diritti riservati

Quella che vado a presentare è un scheda su tre split: lunedì/mercoledì/venerdì. Allenamento alattacido con tempi di recupero alti, 3’ ogni serie. Stimolazione del fattore forza; SNC molto impegnato. Quasi tutti fondamentali. La chiamerei “multifrequenza anomala”. Ad esempio: il petto lo richiamo in tutte e tre le sedute ma in modo differente, avendo stimoli diversi seppur con lo stesso numero di reps, serie e recupero. Ho seguito questo approccio per dodici settimane.

LUNEDÌ

  • Stacco da terra: 3×3, poi 3×5
  • T-bar row (presa triangolo): 3×3
  • Panca piana: 4×3
  • Push down: 3×5
  • Leg press: 4×3

MERCOLEDÌ

  • Spinte manubri (spalle): 3×6
  • Deltoidi posteriori: 3×6
  • French press: 3×5
  • Curl bilancere: 3×5
  • Leg curl sdraiato: 4×5
  • Calf seduto: 4×5

VENERDÌ

  • Squat: 4×5
  • Manubri su inclinata (pettorali): 4×5
  • T bar row (presa T): 3×5
  • Trazioni alla sbarra, zavorrato: 3×5
  • Hyperextension o stacco rumeno: 3×6

Grande forza richiesta ai capi del muscolo e tensioni massime molto elevate. Il singolo gruppo non viene martoriato da serie e serie, non viene allagato dal lattato anche grazie a recuperi consistenti tra le serie. Notare la frequenza settimanale per muscolo. Gambe tre volte a settimana. E sono il gruppo in cui Francesco vanta il miglior sviluppo. Un caso? È una fase di costruzione, ovviamente il lato alimentare ha un peso di rilievo.

Vediamo invece come si comporta sotto gara. Il passaggio da una logica all’altra è graduale e occupa alcuni mesi. ALCUNI MESI.

Di seguito una scheda di allenamento per le gambe che è stata tenuta fino alla settimana precedente alle competizione: il Campionato del Mondo WNBF a Zurigo. A differenza di quella presentata in precedenza, questo prgramma necessita di una contestualizzazione: solo ad un livello molto avanzato si può giovare di certe tecniche volte ad aumentare lo stress muscolare oltre il normale limite. I principianti devono scordarsi le superserie, il pompaggio estremo e ogni forma di tecnica di intensità.

La frequenza di allenamento per distretto muscolare passa ad una a settimana, dato il grande volume svolto nella seduta. La quantità di lavoro permette anche all’atleta di maturare un controllo sempre migliore sulla contrazione volontaria del muscolo, in modo da esibirlo al meglio sul palco. Propriocezione e sistema nervoso, ancora una volta.

Gara a fine ottobre. Dal 5 al 10 agosto scarico attivo. Un po’ di corsa sul piano, qualche ripetuta sul campo di atletica. Scatti brevi sui 20mt, stretching, esercizi pliometrici. Ho dato molta importanza alla pliometria: fa parte dei nostri movimenti e ritorna utile negli esercizi con i sovraccarichi, per la forza o per l’ipertrofia; mi aiuta a correggere gli errori di esecuzione e ad evitare il rimbalzo che solitamente si usa per sollevare più carico (cheating). Dal 10 al 20 agosto sono stato completamente fermo. Ho ripreso il mio regime l’ultima settimana di agosto, a 8 settimane dalla gara.

Adesso non si scherza più. Tutto in tri-set. Densità allenante massima, tempi di recupero nettamente più corti, eccezione fatta per gli esercizi multiarticolari inseriti ad inizio seduta: qui il recupero non può essere esiguo se l’obbiettivo è mantenere un carico importante.

GAMBE

  • Leg press: 4×5, rec. 3’
  • Triset: Leg extension – Hack squat – Squat frontale: 3 x (8 + 6 + 8), rec. 90”
  • Leg curl: 4×5, rec. 2’
  • Triset: Leg curl seduto – Stacchi a gambe tese – Leg curl sdraiato: 3 x (8 + 8 + 8), rec. 90”
  • Triset: Calf seduto – Calf alla pressa – Calf in piedi: 3 x (8 + 8 + 8), rec. 90”

Nella cultura fisica moderna ha cessato di esistere il “funziona tutto e niente”. Come il medico, che di fronte ad un mal di gola non ci cura consigliando farmaci per la congiuntivite ma sceglie tra dieci sciroppi quello che valuta più adatto al caso, attingendo agli studi su carta, alle conoscenze maturate nel tempo e alla sensibilità che ha nel capire chi ha davanti, un preparatore e il suo allievo devono seguire delle regole. Un percorso. Logico, razionale.

Che piaccia o no è finito il tempo del “cresco per continua e casuale variazione di stimoli”.

Ok farsi guidare dalle sensazioni: ma sempre lungo un binario, che si rivelerà non così largo come spesso ci fanno pensare.

Immagine di sfondo © 2013 Luca Anzalone Photography: www.anzaloneluca.it

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Vi ricordiamo che Sabato 07 Dicembre 2013, presso la Palestra A.S.D. Olympian’s Gym – Via Brodolini 35, Figline Valdarno (FI), Amerigo Brunetti e Francesco Paleari saranno tra i relatori del seminario “IPERTROFIA 2.0 – Analisi scientifiche ed evoluzioni pratiche dei processi ipertrofici nella moderna visione del Natural Bodybuilding” insieme ad Alfredo Tessitore e al Dott. Francesco Pelizza per parlare di Metodologia, Pianificazione e Periodizzazione dell’Allenamento finalizzato all’ipertrofia muscolare nel Natural Bodybuilgding.

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Note sull’autore

Amerigo Brunetti - Campione Nord Italia e Vicecampione Italiano 2010 Musclemania. Attualmente studente in Ingegneria Meccanica e Preparatore di Natural Bodybuilding.

SPEAK YOUR MIND #1

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a cura del Dott. Federico Fontana

Questo articolo, primo di una breve serie, vuole essere la premessa a quanto illustrerò nelle mie lezioni al 2° Corso Avanzato FIPL per Istruttori di Powerliftingtutti i dettagli a fondo pagina; una “vetrina” sulle recenti tematiche riguardanti l’interazione tra Sistema Nervoso e Muscolo, in particolare su una delle più importanti funzioni neuromuscolari nella performance sportiva: l’abilità di generare la massima potenza muscolare. Un’analisi completa di tematiche quali: la Potenza Neuromuscolare, cos’è? È allenabile? E ancora: la costruzione di una Skill complessa, perché l’allenamento della Forza deve necessariamente passarvi attraverso? La legge del reclutamento muscolare: come l’allenamento della Forza può interagire con esso “spostandolo” a nostro favore.

GROW A SKILL

Nell’attuale panorama dell’allenamento con i sovraccarichi, quello orientato allo sviluppo della forza è sempre più visto come fosse un “work out” a sé, ben lontano dalle codifiche che ne permettano un corretto apprendimento tecnico e una giusta progressione temporale degli eventi.

Ho sempre sentito racconti sul “quando”, il “come”, il “dove” inserire l’allenamento per la forza all’interno della preparazione di uno sportivo, trattato alla stregua di una “pillola magica” da somministrare in caso di bisogno, o introdotto in specifiche zone di carico per poi essere “scaricato” o “mantenuto”.

Arrivando a paradossi del genere: “Tenere la forza lontano dalle competizioni”.

Nessuno evidentemente si è chiesto, a questo punto, se valesse la pena rivedere il “come” fosse stata inserita questa “forza” che, secondo un simile punto di vista, potrebbe intaccare, al pari di un virus, le performance di gara.

La corretta “posologia” del farmaco, in questo modo, si allontana di molto dal “dosaggio” realmente benefico.

L’allenamento della Forza così disegnato influenza notevolmente anche la via in cui è programmato.

Sembrerebbe che la pratica orientata alla costruzione motoria, che include l’acquisizione e il rifinimento della tecnica esecutiva, sia poco considerata; a ben vedere anzi, non “sembrerebbe” affatto: lo è a tutti gli effetti! Forse per impazienza, ego o mancanza di sensibilità alla necessità… L’essere umano è estremamente bravo a modificare tempestivamente ciò di cui necessita in funzione del proprio bisogno.

Viene quindi così a mancare il presupposto fondante dell’allenamento della forza: la costruzione di un’abilità motoria. La Forza è infatti una SKILL e come tale, di default, richiede un approccio molto specifico attraverso il quale questa stessa abilità si implementa, parallelamente allo sviluppo di una corretta acquisizione tecnica progressiva.

Per definizione “skill” è l’abilità di eseguire uno specifico compito motorio o cognitivo in grado di produrre risultati pre-determinati. Ripeto: uno SPECIFICO COMPITO MOTORIO e COGNITIVO. Non una contrazione muscolare….

In altre parole: quando si allena la forza ci si dovrebbe allenare in una maniera tale che consenta di diventare effettivamente più forti. Credetemi, non è un concetto così scontato…

Il saper percorrere questa via permette di produrre risultati concreti e COSTANTI nel tempo, creando perciò atleti solidi nei successi; consente di ridurre il rischio di infortuni e di aumentare il match tra “livello tecnico” e “livello di carico”. L’atleta prenderà sempre più confidenza con questo pattern motorio di attivazione; maggior confidenza uguale: relax. “Relax” inteso come percezione della padronanza della propria forza, che contribuisce ad aumentare, nell’atleta stesso, il senso di autoefficacia psicologica.

Ecco così che si viene a “sbilanciare” a nostro favore il rapporto “alzate fatte” versus “alzate fallite”.

Questo approccio, questi “skill full movements” (perdonate l’inglese, ma in italiano non è possibile tradurre questa espressione senza rovinarne efficacemente il suono e quanto evoca…) rappresenteranno il “blend” ideale tra task motorio, individuo e ambiente che lo circonda.

Una MISCELA, questa, che incorpora progressivamente le Forze Esterne nell’organizzazione del movimento solo all’aumentare dello sviluppo dell’apprendimento individuale.

Il prossimo articolo tratterà il ruolo della pratica nelle varie fasi dell’apprendimento motorio e di come essa si possa inserire all’interno di una programmazione sensata!

Stay tuned!

Vi ricordiamo che il Dott. Federico Fontana sarà tra i docenti di “Building a Strength Expert” – 2° Corso Avanzato FIPL per Istruttori di Powerlifting insieme al Tecnico Nazionale Ado Gruzza, al Dott. Fausto Caruana e, direttamente dagli USA, due ospiti di eccezione: per la prima volta in Italia con AIF il coach JOHN BROZ, il “mitico” allenatore Americano che ha formato le sue conoscenze al fianco di Antonio Krastev e con la scuola di Ivan Abadjiev; MIKE TUSHCHERER, che presenterà in ESCLUSIVA italiana il suo innovativo approccio didattico, il Reactive Training Systems (RTS).

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IL RUOLO DEGLI ESERCIZI COMPLEMENTARI NELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA

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a cura di Alessio Ferlito

In foto: Amerigo Brunetti e Alfredo Tessitore

A seconda della scuola di pensiero di riferimento, il ruolo degli esercizi complementari varia incredibilmente: basti pensare alla scuola americana del West Side, dove i complementari svolgono un ruolo predominante; o alla scuola russa, che pone molta attenzione allo schema motorio, e ancora alla scuola cinese del sollevamento pesi, che utilizza i complementari anche in ottica “bodybuilding” per migliorare la propriocezione degli atleti.

Una cosa è sicura: nella stesura di un programma di allenamento, qualsiasi sia l’obiettivo finale, viene naturale inserire un esercizio base, su cui si vuole migliorare, ed esercizi complementari a questo per riuscire ad ottenere quanti più risultati possibili.

Come scegliere gli esercizi complementari migliori e in base a cosa sceglierli sarà l’argomento della mia lezione al prossimo corso Base FIPL per Istruttori di Powerlifting di primo livello (arrivato alla quinta edizione), ma già da adesso possiamo fare qualche considerazione di massima.

COSA SI INTENDE PER “ESERCIZI COMPLEMENTARI”?

Un esercizio complementare è un esercizio che “comprende elementi del gesto da gara, una sua variante, nonché movimenti essenzialmente simili […] con lo scopo di padroneggiare il movimento primario o per migliorare le qualità fisiche”. La frase appena citata è di L. P. Matveyev, il padre della periodizzazione dell’allenamento, autore di numerosi articoli e del libro “Fundamentals of Sport Training”, testo dal quale ho tratto la citazione.

Esistono moltissime classificazioni degli esercizi di complementari; quella che voglio riportare in questo articolo è quella di Bondarchuk:

  • Esercizi di gara: non credo abbiano bisogno di molte parole, sono gli esercizi che si affronteranno nella competizione;
  • Complementari specifici: replicano il movimento di gara, ne sono una variante o una parte;
  • Esercizi di preparazione specifica: usano la stessa catena cinetica dell’esercizio da gara, ma in modo diverso. I muscoli utilizzati sono gli stessi;
  • Esercizi di preparazione generale: non riguardano strettamente l’esercizio di gara e possono coinvolgere anche altri distretti muscolari.

Prendendo ad esempio la panca piana come esercizio fondamentale troveremo: la board press nel gruppo dei complementari specifici, le parallele tra quelli di preparazione specifica e le trazioni tra quelli del quarto gruppo.

PERCHÈ FARE GLI ESERCIZI COMPLEMENTARI?

Questo credo sia il punto fondamentale. Darò due motivazioni.

Variare è positivo

Il corpo umano si rafforza in base agli stimoli che percepisce, è il principio alla base del SAID (Specific Adaptation to Imposed Demand). Pensate ad un giocatore di tennis: il braccio dominante avrà una densità ossea e una muscolatura maggiore rispetto al braccio non utilizzato. Le tibie di chi pratica muai-thay si irrobustiscono; così fanno muscolatura, tendini e tessuto connettivo di chi si allena con i pesi.

Il tessuto connettivo si dispone lungo le principali linee di forza: questo può provocare, con il passare del tempo, un eccessivo irrigidimento del connettivo stesso e, come conseguenza, la riduzione dell’arco di movimento di un’articolazione.

Metodi di allenamento che vedono un’alta frequenza di esecuzione degli esercizi fondamentali o che prevedono una programmazione incentrata su di essi stressano: non solo a livello fisico ma, soprattutto, a livello mentale.

Un esempio diventato ormai “scolastico”, grazie al mio lavoro di studio sui sollevatori norvegesi, è la programmazione di Carl Yngvar Christensen, atleta di punta della nazionale norvegese di Powerlifting, che svolge le sue 5 “panche settimanali” variando leggermente la presa o introducendo varianti come elastici o catene.

Utilizzare varianti leggere del movimento principale permettere allenamenti con la “testa fresca”, facendo in modo che ogni giorno si vada in palestra con un pensiero diverso dal più demotivante “Anche oggi ho panca!…”, senza però modificare così tanto lo schema motorio da doverne imparare uno nuovo.

Rafforzamento generale

Per definire l’importanza degli esercizi complementari riporterò uno degli esempi più chiari, quello che si trova leggendo “The training of the Weightlifter” di Robert Roman.

Dopo aver analizzato la tecnica dei vari esercizi della pesistica, Roman si dedica alla spiegazione e all’analisi dei metodi allenanti, in particolare focalizzandosi sulla forza e sulla capacità di generarla. In particolare afferma che: “non c’è correlazione tra l’abilità di generare una grande forza e l’abilità di generarla velocemente. Un atleta può avere una grande forza, ma allo stesso tempo può non essere in grado di generarla velocemente.“; e aggiunge: “nel periodo del triathlon (ovvero il periodo precedente al 1970, prima che venisse abolito il press sopra la testa), si potevano spesso vedere atleti molto forti nel press (prima di tutto, un esercizio di forza), ma che non erano in grado di avere alti risultati nello snatch e nel clean&press.”

Facciamo qualche riflessione su questi spunti.

Per prima cosa: durante il periodo del triathlon, leggendo i dati di Roman, i più forti atleti a livello mondiale riuscivano ad eseguire un jerk con una velocità maggiorata di 0.2-0.25 m/s rispetto a quando il press venne eliminato; perciò abbiamo davanti il dato incontrovertibile che un esercizio di “forza generale” avesse effetti più che positivi sulla capacità di generare forza, nonostante quanto affermato sopra, che dovrebbe costituire più un’eccezione che la regola. Inoltre, semplicemente osservando vecchie foto, vediamo che i pesisti del periodo del press aveva una muscolatura molto diversa da quella odierna: erano decisamente più pesanti e muscolosi nell’upper body. Il tempo sotto tensione del press era quindi evidentemente a favore dell’ipertrofia: pur non praticando weightliting, è da notare come i complementari possano contribuire sia all’ipertrofia muscolare che ad una rafforzamento generale.

Il Dottor Yuri Verkhoshansky, intorno agli anni ’60, fu tra i primi ad introdurre il bilanciere nell’allenamento dei saltatori e dei corridori: nel suo “Special Strength Training Manual for coaches” postulò che per migliorare la capacità di generare forza nell’esercizio di competizione, l’esercizio complementare dovesse avere le stesse linee di forza e lo schema motorio quanto più vicino a quello da gara, oltre che coinvolgere lo stesso gruppo di distretti muscolari.

CONCLUSIONI

Non dobbiamo certo soffermarci a questa analisi ed alla classificazione di Bondarchuk, in quanto gli esercizi complementari hanno un ruolo importante anche fuori dal rafforzamento specifico.

Ogni esercizio complementare ha un suo ruolo: tutto dipende dal periodo di condizionamento in cui ci troviamo e, assolutamente, da chi ci troviamo davanti. Gli esercizi complementari hanno moltissime funzioni, come quella di correggere un preciso difetto tecnico o un punto particolarmente carente di un’alzata; sono, in definitiva, “un’arma” importantissima nelle mani degli allenatori che si occupano di training per la forza, certamente da non sottovalutare o relegare “nell’angolo” della preparazione agonistica di un atleta.

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Vi ricordiamo che Alessio Ferlito sarà tra i docenti di “Building a Strength Trainer” – 5° Corso Base FIPL per Istruttori di Powerlifting insieme a: Gianluca PisanoAntonio ContentaAmerigo BrunettiAndrea Magnaghi e al Dott. Francesco Pelizza.

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LO SQUAT, LA FORZA MASSIMALE E LA LINEA: SOPRATTUTTO LA LINEA!

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a cura di Ado Gruzza

Partiamo dalla base. Anzi: ripartiamo dalla base. Ci sono concetti che crediamo siano scontati: invece, tanto più nelle realtà poco disciplinate come i Social network (che per inciso hanno fatto un gran bene alla diffusione della cultura alta dell’allenamento), non lo sono affatto.

Possiamo usare diverse terminologie, però, in buona sostanza, l’allenamento della forza si divide in due macro categorie:
a) GENERALE – In pratica: il lavoro sulla forza massimale. Aumentare la capacità di generare contrazioni di altissimo livello.
b) SPECIALE – Quelle esercitazioni che hanno tempi e modalità (soprattutto tempi) simili al gesto di gara.

Pensiamo ad un lanciatore (o gettatore) del peso: forza generale = esercizi per arti o tronco. Forza speciale: lanci con attrezzi leggermente appesantiti o lanci di attrezzi di diversa natura.
Qualcuno inserisce in questo contesto anche lavori pliometrici, sprint speciali e tutta una serie di drills atti al miglioramento della capacità di contrazione in tempi simili a quelli di gara.

Non ho mai pensato una sola volta nella mia vita che a un atleta serva solo la forza massimale; non ho mai creduto, nemmeno per un solo secondo, che nella preparazione di atleti di qualunque sport sia sufficiente il lavoro di forza generale o massimale. Queste sono semplificazioni e chi ha letto anche solo la metà di un mio articolo, ed abbia una capacità cognitiva sufficiente a cogliere le sfumature, sa benissimo quanto io odi le semplificazioni.

La forza serve e tanto: a qualunque atleta, a qualunque soggetto. Un preparatore del rugby, mio amico, poco tempo fa mi parlò di un concetto che credo, in tutta onestà, di non aver colto a pieno e che “profuma” di intelligenza: la distinzione della forza in diverse categorie è un concetto antiquato (e qua lo seguo forte e chiaro) e non solo; anche le abilità coordinative sono una tipologia di sviluppo della forza.

Ok: concetto complesso, da rogo delle streghe in certi ambienti. Di questo vi resti che la forza è fondamentale in ogni ambito dell’essere umano in relazione allo spazio ed allo spostamento, tanto più negli sport.
Però non sfugga che l’allenamento della forza è tanto più utile quanto l’atleta ha EFFETTIVAMENTE bisogno di forza.
Ti serve più forza? Se la risposta è sì, indipendentemente dallo sport che pratichi, devi elaborare un protocollo ottimale (assolutamente aspecifico) che ti permetta di migliorare la forza, appunto, senza fare danni! Senza stressare il sistema in generale, effetto secondario tipico della metodologia classica.
Il lavoro di forza speciale è un’altra cosa.
Oggi ragazzi qualunque in salute hanno risultati che anni addietro avrebbero richiesto, come minimo, qualche bel ciclo di farmaci anabolizzanti per essere pareggiati.  Il livello medio si è alzato a dismisura: il mondo della forza è cambiato semplicemente perché è cambiato il mondo. La metodologia dell’allenamento della forza si è modificata così tanto anche perché era quella che meno di tutte, nel nostro Paese, godeva di rispetto ed attenzione. Non è difficile asserire che in Italia manchi una cultura di allenamento della forza massimale.

In una bellissima “lecture” presso un’ Università Americana, il dottor Arbeit disse: “Potete fare quello che vi pare, però senza un lavoro di forza massimale (o generale, o aspecifica) non migliorerete neppure la forza speciale”. Ecco: questo vale, ovviamente, anche per lo squat.

Partendo dal presupposto che per anni sono state utilizzate, in moltissimi ambiti, metodologie che hanno avuto dell’incredibile!

SQUAT, IL MENO COMPRESO DI TUTTI.

Io non ho ancora capito, effettivamente, come si fa lo squat. Non ho ancora trovato la linea perfetta, la chiave di lettura perfetta. La sto cercando. Ogni settimana cambio qualcosa nella maniera in cui insegno. Ogni settimana mi confronto con i miei errori, con le incalcolabili varianti che ogni soggetto porta con sé.
Non potete nemmeno immaginare quale sia il mio livello di dedizione, di attenzione, di ricerca della “giusta visione”: ci lavoro come un pazzo. Non sono “arrivato” neanche per sogno; però, come scritto nei foglietti dei Baci Perugina: “L’amore per il percorso rende la strada così magica”.
Non l’ho ancora capito però vedo che mediamente chi parla di squat non ne ha, addirittura, la più pallida idea.

Se non hai questo percorso, come fai a cogliere quella mole immane di sfumature che sono poi determinanti per capire, anche solo minimamente, l’alzata?
Senza contare che “vedere una alzata” è una dote genetica esattamente come l’essere veloci o essere alti.

Dire che non esiste una sola maniera di fare squat è un’affermazione sia vera che completamente falsa.

Da quando abbiamo cercato di codificare questa alzata, analizzandone traiettorie e possibili approcci didattici, abbiamo visto come buona parte degli appassionati si sia inevitabilmente avvicinata a questa maniera di allenare i sovraccarichi.
Semplicemente perché ha dimostrato di funzionare e presenta una logica molto aderente a quella che oggi sembra essere la realtà. Insomma: quella più vicina al meglio di ciò che oggi conosciamo. Arriverà, prima o poi, un “ragazzino” che scriverà una nuova pagina tecnica magari in grado di rivoluzionare tutto, dalla testa ai piedi. Arriverà senza dubbio: perché questa è la storia di ogni attività umana.
Se analizzate un lanciatore del disco d’élite con una tecnica scarsa ed uno con una tecnica eccelsa (ricordo a questo proposito il video postato su Facebook dall’atleta lanciatore Antonio Gardelli qualche settimana fa), quello scarso avrà discontinuità e variazioni rispetto a quello eccelso che saranno spesso visibili a velocità normali solo a tecnici esperti e traiettorie che si discostano tra loro di millimetri. Non centimetri: millimetri!

Con Paolo “Ironpaolo” Evangelista, molto più estremista (in senso buono) nella realtà di quello che può apparire dal modo in cui scrive, commentando le analisi di un preparatore, ci trovammo a riflettere su come nell’allenamento con i pesi, spesso, venga considerata un individualismo o una peculiarità tecnica una traiettoria dell’attrezzo che si discosta da un’altra di 5 o 10 cm da quella ottimale. Roba da matti!

Per anni si è fatto lo squat “come veniva comodo” o come si era insegnato per misericordia tramandata. Non sempre si è stati in grado, mentalmente, di sviluppare le proprie esperienze attraverso le nuove competenze tecniche. Piuttosto si sono trovate risposte facili che però, a mio modo di vedere, non hanno sufficiente forza per stare in piedi.

A volte, di fronte all’impossibilità di rapportarsi gli uni con gli altri o alla diversa esperienza fatta, la chiave di lettura è stata:
“Sì, Io faccio squat per migliorare il salto”
“Sì, ma io faccio squat per lo sci”
“Sì, ma io faccio squat a gambe strette per stimolare i quadricipiti”
“Sì, ma io faccio squat a gambe large per aumentare la velocità”
“Sì, ma io faccio squat per migliorare il salto del fosso”…

Ok, basta. Usiamo la testa, per una volta!

Vero, esistono tanti modi di fare squat: frontale, high bar, a gambe larghe, strette, Zercher (no, quello no, non lo considero nemmeno a pagamento!), a braccia alte, eccetera eccetera.
Però c’è solo uno squat valido: quello che ti permette di generare l linea di forza ottimale!
FINE DEL CAPITOLO. Non giustificatemi con fini astrusi uno squat che fa schifo. Se “sculate”, rimbalzate o semplicemente generate piccoli compensi per uscire dagli Sticking Point (che non tutti sono in grado di vedere), beh quello squat, che sia a gambe strette, larghe, depilate o fatte con i tacchi a spillo rubati a vostra madre, semplicemente, non è buono: non è cioè ottimale al fine di migliorare la capacità di generare alti livelli di tensione.

Perché fate squat? Per migliorare la forza, giusto? Allora perché farlo in maniera non ottimale?

DIDATTICA

Ci sono tecniche per imparare a generare ottime linee di forza per chi non ha le leve di Oleg Perepetchenov. Queste sono quelle che i nostri tecnici Federali FIPL insegnano, ognuno con la propria logica individuale. Se hai le leve di Oleg, non perdere tempo: tieni i piedi piuttosto stretti, scendi e stai più dritto che puoi. Tutto fatto.
Se non sei Oleg, facendo così non ci “cavi fuori” nulla. Poi, in realtà, lo stesso Perepetchenov, oltre alla innata struttura, ha lavorato fin da ragazzino per costruire una massa muscolare così efficiente e prorompente, e fatto stretching dalla stessa età per costruire avere un controllo motorio ottimale e una mobilità articolare quasi perfetta.

Ci sono metodologie di approccio allo squat che sono semplicemente più efficaci per apprendere il gesto e mettere nel cassetto tutte le cattive abitudini motorie sviluppate negli anni. Ecco: queste sono le modalità didattiche. Sulle quali, in Italia (lo dico senza imbarazzo e con cognizione di causa) siamo (in FIPL) ad altissimi livelli in ambito internazionale. Nessuna Federazione Internazionale di Powerlifting, tanto per dire, ha un corso Istruttori delle dimensioni numeriche di quello Italiano e che sia, almeno nell’edizione Base, aperto a tutti. La didattica è strutturata per venire incontro alle esigenze anche dei semplici appassionati, quelli non nati per fare Pesistica o Powerlifting e questo ci è stato riconosciuto anche in ambito internazionale.

Alla fine quello che conta, per me e penso per chiunque si alleni con un minimo di “grano salis”, è sempre il risultato.  Arrivateci come volete, con la didattica che più vi aggrada: però arrivateci! Se il risultato è uno pessimo, anche con 200 Kg, sempre pessimo sarà.
Ecco la Evstyukina:, passata, a mio giudizio, da una didattica sullo squat non ideale. Lo noto da alcuni particolari. Però il risultato è una linea di forza decisa e puntuale:

Come dire, ha ragione lei. Tra l’altro ci sono altri video in cui “maltratta” 200 Kg. Ragazzi: è una donna, nemmeno tanto male tra l’altro…

Avete trovato questa linea? Perfetto. Non l’avete trovata? Allora ci sono tante cose da cambiare. E, da quello che vedo introno a me ogni giorno, la seconda ipotesi è tremendamente più probabile della prima.

Inoltre l’analisi di questi concetti è molto più interessante a livello di preparazione atletica rispetto al Powerlifting agonistico puro nel quale, tutto sommato, vediamo ancora soggetti “tirare” ottimi carichi con tecniche davvero mediocri. Anche se più si va su soggetti natural e più questa percentuali cala drasticamente.

Per chiudere: la tecnica dello squat non deve dipendere da che sport fate: ma dalle leve e dal tipo di attivazione dell’atleta.

STOP!

Perché la forza deve sempre essere sviluppata in maniera aspecifica.
So che ancora buona parte del mondo della preparazione atletica usa metodologie legate al “Faccio mezzo squat perché salto così!” o a qualunque altra forma di specificità del sovraccarico, sebbene sia contro quello che recenti moderne analisi dimostrano e, a mio parere, al puro buon senso.

Il punto è che ci sono tantissimi bravi preparatori con i quali, avendo più tempo libero, pagherei (letteralmente) per aver un confronto e dai quali avrei, senza dubbio, molte cose da imparare. Molte: e lo dico con la massima convinzione. Molte cose: però non come fare squat. Lo squat lo si impara dai tecnici. Per imparare a sollevare pesi vado da Dietmar Wolf: non da un tecnico che si occupa di pallavolo, unicamente perché ha troppo poca esperienza in materia. Addirittura l’esperienza è così specifica da essere perfino legata al livello: Boris Sheyko, fantastico durante il suo seminario tecnico nella nostra palestra di Parma con i migliori atleti della nostra squadra, era quasi impacciato con i principianti e gli amatori presenti.

Allo stesso modo non ho l’ambizione di voler insegnare ad un maestro di ginnastica su come lavorare sulla mobilità e il corpo libero. Ho delle idee: però non vorrei mai imporle.

Se mi confrontassi con Carlo Buzzichelli o un velocista agonista su come correre più veloce, questo confronto non farebbe crescere nessuno degli interlocutori, semplicemente perché io avrei solo idee semplicistiche in materia. Potrei avere 175 di QI e in ogni caso sparerei delle gran corbellerie. Per capire in profondità un evento devi viverlo in profondo. Però chi “ha fatto due pesi in gioventù” ha sempre quella profonda e radicata sicurezza in se’ di poter essere un interlocutore assoluto, malgrado sia meno preparato sui pesi di quanto io lo sia sul salto con l’asta.

Uno storico casaro ultra settantenne di Parma pochi giorni fa mi disse, nella sua semplicità, una frase che mi ha colpito molto e che la dice lunghissima su cosa sia la passione e la competenza.  Mi ha detto (testuali parole): “Mi a morirò sensa saver c’me s’fa al formaj”; questa piccola perla racchiude in sé tutto il ragionamento fatto fin qui.

Ciò che ci muove verso il “cuore” della conoscenza è la passione, il desiderio profondo, radicato, quasi violento, direi, di capire cosa c’è dentro un evento tutto sommato normale: che sia una semplice accosciata con bilanciere sulle spalle o fare un formaggio che alla fine, si fa da mille anni.

Io non ho un atleta in palestra che esegua lo sqaut alla stessa maniera dell’altro, sebbene siano tutti powerlifter o bodybuilder: chi “squatta” a bilanciere alto, chi basso; chi guardando in alto, chi in basso; chi iperestende la schiena altrimenti è spacciato, chi può permettersi di “perderla” un po’ durante l’alzata; chi “squatta” stretto e verticale, chi largo e più orizzontale. Tutti diversi però, bene o male, tutti comunque “in spinta”, perché è l’unica cosa che mi interessa.

Mettete in vostri atleti “in spinta” e vi dirò che fate uno squat fantastico. Non fatelo e, alla meglio, non dirò niente per non essere scortese.

Nota non necessaria: i più fini avranno notato come chi lavora nel Powerlifting attrezzato tendenzialmente svilupperà linee migliori; il discorso è lungo e complesso però vale la pena sottolineare che l’attrezzatura di supporto non ti solleva il bilanciere, ma al massimo ti struttura una linea di spinta ottimale. In questo video il concetto è ben evidente:

Costringendoti a linee ottimali, inevitabilmente te le insegna.

Di segurio una lista, estrapolata da Youtube, di squat molto diversi tra loro eppure tutti molto efficaci.

Ilya Ilin:

Al minuto 1.10 un atleta cinese, categoria 56 Kg:

Lu Xiaojun con una fantastica linea di spinta:

Altri due atleti di élite della scuola cinese:

Aita:

Re Konovalov:

Perepetchenov, recordman nello slancio:

Salimi:

Overhead squat:

Dabaya, un front squat classico:

Come avrete notato gli alteti cinesi, maniaci della tecnica, “squattano” sempre di più in maniera simile a come da anni cerco di proporre: indipendentemente dall’altezza del bilanciere, massimo controllo in basso e tenuta totale. Niente ATTG (Ass To The Grass, “sedere a terra” in gergo) o visioni particolaristiche. Così come il frontale di Ilyn.

Alla fine, sebbene sia un incorreggibile chiacchierone alle cene in compagnia, per me contano i risultati.
Il lavoro qualitativo ha elevato all’ennesima potenza, a livello nazionale, i risultati di persone originariamente non predisposte allo strength training, portando alcune di queste a livelli “top” elevatissimi. Numeri alla mano.

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Vi ricordiamo che Ado Gruzza sarà tra i docenti di “Building a Strength Expert” - 2° Corso Avanzato FIPL per Istruttori di Powerlifting insieme al Dott. Federico Fontana, al Dott. Fausto Caruana e, direttamente dagli USA, due ospiti di eccezione: per la prima volta in Italia con AIF il coach JOHN BROZ, il “mitico” allenatore Americano che ha formato le sue conoscenze al fianco di Antonio Krastev e con la scuola di Ivan AbadjievMIKE TUSHCHERER, che presenterà in ESCLUSIVA italiana il suo innovativo approccio didattico, il Reactive Training Systems (RTS).

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INSIDE BODYBUILDING: LA SOTTILE LINEA RETTA – PARTE 1

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a cura di Amerigo Brunetti

Foto archivio FIPL: ©2014 FIPL – Federazione Italiana Powerlifting

Che la panca piana sia il miglior costruttore della parte alta del corpo – a patto che sia eseguita a regola d’arte – è un dato di fatto per ogni preparatore top-level.

E chiunque reputerebbe banale osservare come i grandi performer dello squat godano di uno sviluppo del quadricipite davvero invidiabile, nettamente superiore se paragonati a chi si dedica assiduamente a esercizi di isolamento.
È infatti impossibile incontrare un culturista che abbia avuto decisi incrementi muscolari solo con cavi, cavetti e macchine.

Ma perché la panca piana e non una chest press? Le croci…? Perché accosciarsi con un bilanciere sulle spalle piuttosto che eseguire unicamente contrazioni alla leg extension quando vogliamo aggiungere centimetri al giro-coscia? In entrambi i casi il muscolo lo lavoro, ma i risultati non sono minimamente comparabili.
Non c’è grande schiena che non abbia visto rematori pesanti, né grande stacchista carente di lombari.

La netta superiorità dei grandi multiarticolari è dovuta unicamente al fatto che attivano stabilizzatori e reclutano un numero maggiore di distretti muscolari, oppure c’è dell’altro?
Se l’ipotesi del picco ormonale in seguito all’allenamento è stata smentita in via definitiva, il comprendere appieno la VERA motivazione per cui questi grandi esercizi siano così efficaci nell’incremento di massa ci dà chiare indicazioni sul comportamento da tenere in palestra.

SQUAT, PANCA E STACCO
Sono i tre movimenti – a eccezione delle complicatissime alzate olimpiche – in assoluto più studiati, parametrati e maniacalmente osservati, gesti ripetuti milioni di volte da tantissimi atleti sparsi in tutto il mondo con l’obbiettivo di essere il più efficienti possibile, di sollevare il carico più grosso.

Utilizzati per incrementare le prestazioni, la forza massimale, il tessuto muscolare. Le logiche derivate dalle conoscenze quasi centenarie della pesistica hanno permesso negli ultimi anni di CODIFICARE queste alzate. E’ stato possibile determinare un’esecuzione ideale: oggi, 2014, posso dire quando il movimento è corretto, quando è massimamente efficiente e quando no. In base a dati oggettivi.

Abbiamo un vantaggio assoluto verso chi ha trattato il mondo dei pesi negli ultimi 30 anni. Lasciare questi indizi per strada sarebbe da stolti.

Prendiamo i tratti comuni. Analizziamo.
Quali i fattori che ci mostrano la correttezza dell’alzata? Cosa rende migliore una ripetizione rispetto a un’altra se il carico mosso nel tragitto A-B è lo stesso?

TRAIETTORIA E VETTORI

“Devi essere in spinta” - A.G.

Un mantra ormai dilagante, la chiave per un’alzata massimamente produttiva.
Sono “in spinta” quando ogni muscolo chiamato in causa ha due possibilità: contribuisce direttamente al movimento o è stabilizzatore. Non esistono distretti muscolari che si oppongono come parassiti al movimento del bilanciere.
Sono “in spinta” quando le forze del mio corpo convogliano in un vettore unico, fisso dall’inizio alla fine.
Ogni rotazione e spostamento dei miei segmenti corporei genera movimento effettivo del bilanciere o serve a tenere una postura ottimale.
Sono “in spinta” quando tutto quello che faccio da quando stacco il bilanciere ha come unico obbiettivo quello di generare forza secondo una LINEA RETTA.

Lo stacco classico è indiscutibilmente l’esercizio più tassante a livello nervoso: la perdita della curva lombare (che accade inevitabilmente sopra certi carichi) destabilizza il corpo, che è chiamato a spingere in direzioni sempre diverse durante il movimento. Un gran casino! I pochi che lo eseguono produttivamente sono coloro che mantengono fissa la curva, dando la possibilità al corpo di imprimere forza secondo UNA SOLA direzione.
Stessa cosa se prendiamo in esame lo Squat. L’errore più comune è sempre lo stesso: schiena poco stabile, vertebre che perdono l’assetto fisiologico, corpo che non sa più in che direzione spingere e gambe completamente disattivate.
Quindi, regola n°1: definire una linea di spinta e mantenerla coerente da inzio a fine ripetizione.

IL CORPO UMANO NON È IN GRADO DI GENERARE ALTE TENSIONI SE IL VETTORE FORZA RISULTANTE CAMBIA DIREZIONE DURANTE IL MOVIMENTO.
LA REGOLA ASSOLUTA PER UN EFFICACE STIMOLO MECCANICO RISULTA QUINDI ESSERE UNA TRAIETTORIA RETTILINEA, QUALSIASI SIA L’ESERCIZIO CHE STIAMO SVOLGENDO.

Questo è un concetto che prescinde dal contesto in cui è nato e vale in OGNI ambito della palestra, da chi fa preparazione atletica nel rugby al natural bodybuilder.
È ciò che ha reso fino ad oggi le tre alzate fondamentali così efficaci nello sviluppare massa magra: rispetto del corpo nel suo fisiologico funzionamento!

RETTA VS CURVA
Un corretto stimolo meccanico passa unicamente da una traiettoria rettilinea anche per un discorso di velocità: se compio un arco di cerchio, di certo non posso avere una velocità ottimale e costante a causa di una variazione continua di percezione del peso sulla mano e perdita di equilibrio del bilanciere. Inoltre – fondamentale! – l’inerzia del peso deve essere continuamente vinta, essendo il carico accelerato in direzioni sempre differenti.

Tracciando un arco di cerchio non permetto un movimento razionale del bilanciere. Il corpo è adatto a svolgere lavori che richiedono grande impegno, sforzi pesanti, ma solo a patto che non cambi il piano di lavoro durante il movimento. Ogni modifica della direzione verso cui spingo è fortemente destabilizzante per il sistema.

Quando ci raccontano che il migliore esercizio per i bicipiti è il classico curl bilanciere in piedi, piuttosto che l’alternato manubri seduto su panca, ci stanno raccontando una favola.
Cambiamento di velocità e attivazione possono essere riscontrate se lo eseguiamo nel modo tradizionale: l’esercizio stesso non consente di mantenere velocità costanti, a patto di non usare pesi ridicolmente bassi. La direzione di spinta varia cm dopo cm.
Il curl è un movimento intrinsecamente fuori spinta.
L’evoluzione dell’uomo non ha mai contemplato un ripetersi sistematico e ritmico di gesti circolari ad alta intensità: il corpo non è efficiente a livello neuro-muscolare nel portarli a termine.
Il discorso non riguarda però il solo curl, ma tutti gli esercizi.

INTEGRARE ANZICHÉ ISOLARE
Non è il nuovo slogan di un movimento di ultrasinistra: se dobbiamo attenerci a una traiettoria rettilinea, è fondamentale uscire dall’ottica “isolo il tricipite”, perché altrimenti a muovere l’attrezzo non sarà l’idea di spingere in una sola direzione, ma la contrazione selettiva di un particolare distretto. Il corpo non funziona così!
I neuro scienziati convengono infatti su come il cervello non ragioni per muscoli ma per azioni, gesti; il vero trucco – la vera difficoltà – non è tagliare fuori i muscoli agonisti per “sentire più lavoro sul pettorale”, ma trovare esercizi e direzioni di spinta che pongano l’enfasi sul distretto bersaglio. Reclutare all’unisono, quindi.

Le carenze di sviluppo muscolare hanno SEMPRE, SEMPRE, SEMPRE alle spalle una problematica motoria.
Cosa allena il muscolo se non un movimento? La fata turchina?
Se avete un gruppo meno sviluppato, con tutta probabilità è perché non siete in grado di creare tensione internamente e ai suoi capi. Forse lo state isolando troppo. Fate una prova: siete capaci di percepire un intenso lavoro muscolare anche a basse ripetizioni negli esercizi che riguardano il vostro gruppo carente? (Conosco già la risposta…) Avete ora le carte per capire la direzione verso cui andare!

Se l’isolamento è essenziale nell’ESTETICA del bodybuilder, non si può dire lo stesso se vogliamo ottenere uno stimolo meccanico adeguato e una crescita di reale massa muscolare.
Quando ci si sposta sul metabolico, sulle alte ripetizioni e sull’accumulo di lattato, si ha carta bianca con i monoarticolari e con traiettorie che si discostano da quella ottimale.
A nessuno ha mai nuociuto un curl con completa flessione ed estensione del braccio, le croci manubri piuttosto che uno stripping alla leg extiension, a patto che il carico sia esiguo e l’obbiettivo dell’esercizio sia puramente di rifinitura estetica.

IL CHEATING NON È CHEATING
Avete mai notato come molti PRO bodybuilders siano così inclini al cheating?

La traduzione letterale vuole che questo termine equivalga a “barare”, ingannare. Tuttavia è un comportamento più che sensato, se ben fatto. Mentre è stupido imbrogliare sé stessi e il proprio ego con carichi ingestibili, farlo con la gravità e alcune percezioni corporee può essere una carta vincente.
Istintivo comportamento atto a migliorare l’attivazione muscolare, uno strumento di assoluto vantaggio per chi pratica la cultura fisica, il cheating permette di ottenere sensazioni simili a quelle date da una traiettoria retta anche compiendo movimenti parzialmente curvilinei. Se ben fatto, consente di concentrarsi nella spinta in UNA SOLA DIREZIONE; UN SOLO MOVIMENTO.
Raccogliete un masso da terra e cercate di sistemarlo a un’altezza pari al collo.
Movimento di curl o utilizzo di uno slancio che coinvolge più distretti?
Lo stress meccanico non può prescindere da queste osservazioni.

Pensiamo anche a questo. Il leg drive (spinta con le gambe) durante un push press o un jerk vi consente di attivarvi in un’unica direzione: quella verticale rispetto al pavimento, cosa non possibile nel caso di un lento avanti in piedi.
Anche questo è cheating!

RIPETIZIONI PARZIALI
Altro stratagemma per assicurare una spinta verso un’unica direzione.
Accorcio il movimento: riesco a rimanere in tensione e spinta costanti anche in esercizi la cui esecuzione canonica non mi permetterebbe una totale efficacia di stimolo sul muscolo.
Spesso si vede allenare le spalle con movimenti parziali sopra la testa: difficile trovare un bodybuilder che esegue il lento avanti in full R.O.M. Molto più probabile vedergli compiere pochi cm di spostamento. Ecco, in quei pochi gradi di movimento – fateci caso – la traiettoria tende a essere una linea retta!

Le regole essenziali per un massimo stimolo meccanico e una crescita concreta sul lungo periodo risultano quindi essere:

  • la coerenza verso UN’UNICA DIREZIONE DI SPINTA;
  • il mantenimento di una traiettoria RETTILINEA;
  • l’allontanarsi da gesti di isolamento e ricerca di movimenti più congeniali all’uomo, la cui esecuzione preveda la completa attivazione neuromuscolare.

Ok, ma… quindi per creare uno stress meccanico al bicipite quali sono gli esercizi più indicati? Quali strategie posso utilizzare per ottenere una traiettoria rettilinea nel push down al cavo?
Nella seconda parte dell’articolo avremo modo di analizzare attentamente i vari movimenti.
Intanto guardatevi allo specchio: durante la lat machine la sbarra cambia direzione? Durante il pulley ho dei su-e-giù non previsti?


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Vi ricordiamo che domenica 13 Aprile 2014 a NAPOLI,  presso l’AVION FITNESS CENTER, Viale delle Mimose, 14 e domenica 04 Maggio 2014 a MILANO, presso il Box REEBOK CROSSFIT BICOCCA – Via Talete, 9 Amerigo Brunetti e il Dott. Francesco Pelizza saranno i relatori del seminario “IPERTROFIA 2.0 – Analisi scientifiche ed evoluzioni pratiche dei processi ipertrofici nella moderna visione del Natural Bodybuilding” insieme ad Alfredo TESSITORE (per la data di Napoli) e Gabriele SAVANT e Davide GIANNICO (per la data di Milano) per parlare di Metodologia, Pianificazione e Periodizzazione dell’Allenamento finalizzato all’ipertrofia muscolare nel Natural Bodybuilding.

Troverete tutti i dettagli qui.

 

Note sull’autore

Amerigo Brunetti - Campione Nord Italia e Vicecampione Italiano 2010 Musclemania. Attualmente studente in Ingegneria Meccanica e Preparatore di Natural Bodybuilding.

INSIDE BODYBUILDING: IL MIGLIOR PRINCIPIANTE È IL POWERLIFTER

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a cura di Amerigo Brunetti


Nel mondo della cultura fisica, la diatriba su quale sia il miglior approccio da consigliare a colui che si affaccia per la prima volta nella realtà della palestra è aperta. Spesso mi rendo conto di ragionare puramente in termini di “top di gamma” o “élite”. Ma è voluto: sono fermamente convinto che tu, allenatore, un atleta vincente lo devi coltivare fin da giovane, cercando di inculcargli quei principi e fargli apprendere quelle abilità che si porterà dietro tutta la vita. Agonistica e non.

Anche se non ci interessano le gare, non possiamo prescindere da quelle conoscenze che ci vengono da chi regolarmente si esibisce su un palco.
Nello stesso modo in cui le Olimpiadi insegnano e danno l’imprinting agli allenatori di tutto il mondo per i quattro anni successivi, l’attingere dal Natural BB agonistico ci permette di alzare drasticamente il nostro livello, se questo viene fatto con dovuti accorgimenti e rivisitazioni soggettive.

Se punti a essere un mediocre o prendi la cultura fisica come un passatempo marginale, quanto è scritto in questo articolo non ti interessa.

Spesso, troppo spesso, sento tirare fuori la questione mente-muscolo in maniera del tutto inopportuna, di solito da gente che non ha il background per fare certe affermazioni. Le situazioni dove viene considerato questo legame sono di natura opposta: circostanze in cui il livello è estremamente basso oppure estremamente elevato. Ne parlano i principianti o i super avanzati.

Inutile dire che nel primo caso la ricerca del legame cervello-bicipite è non solo insensata,  ma controproducente: se passiamo i primi 3 mesi a fare eseguire il curl concentrato ad un novizio, chiedendogli altrimenti se “sente le spalle” nel press in piedi, stiamo buttando via del tempo.

Gli atleti d’élite non hanno cercato il legame mente-muscolo dal primo giorno di palestra, l’hanno trovato durante il percorso.

La cosa che più di tutte serve al principiante è l’apprendimento del concetto di tensione. Generare tensione. Concetto che non scorderà più se siamo bravi a radicarglielo nel DNA. Una volta che forgi il sistema nervoso a tenere il tronco compatto e rilassato allo stesso tempo, a sparare impulsi ad altissimo voltaggio con le articolazioni in totale sicurezza… non te lo dimentichi! E’ come andare in bici.

Quindi, prima cosa: bisogna che il soggetto capisca cosa vuol dire “essere in spinta”. Questo può essere fatto unicamente con i grandi esercizi multiarticolari.  DAL SINGOLO AL TUTTO.

Il novizio si sottoallena lavorando ad alto buffer, senza avvicinarsi al cedimento? Certo che sì. Ma, sapete, ho sempre preferito sottoallenare un allievo per 6 mesi (e poi vederlo letteralmente lievitare quando capisce come spingere) piuttosto che dargli il contentino iniziale facendolo rimanere in stallo per il resto della sua attività. In più, non vi è hardgainer che possa rimanere tale dopo un oculato approccio distribuito e ad alta frequenza. Spesso sono hardgainer perché li hanno convinti con le parole: non riesco a farti migliorare, è colpa della tua genetica. E via, me ne lavo le mani, tanto sei sfigato.

Sarò fortunato, ma io non ho mai incontrato gente classificabile come tale.
Certo, su alcuni soggetti il lavoro è durissimo e costa ANNI di dedizione assoluta, ma ciò non toglie che il potenziale rimanga inespresso finché lo stimolo non è totalmente appropriato.

Vedo tutti i giorni con i miei occhi che coloro in grado di generare grandi tensioni in frazioni di secondo hanno la facoltà di imparare qualsiasi cosa che riguardi il mondo dei sovraccarichi, e con velocità strabiliante.
Vedo gente che fa (quasi) solo squat, panca e stacco con braccia da 42.5cm. Bicipiti allenati marginalmente e per non più di quindici minuti a settimana.
Questo perché? Il lavoro svolto sui grandi esercizi permette una capacità di gestione superiore del proprio corpo. Non è certo lo squat a far ingrandire le braccia, ma grazie alla capacità di lavoro e reclutamento acquisite è possibile spremere ogni singola fibra in quei pochi minuti che si dedicano al loro allenamento. Quindici minuti – se si ha il totale controllo del proprio corpo – sufficienti ad assicurare uno stimolo ipertrofico di rilievo.

Pochi giorni fa mi chiama Riccardo Rollo (2° posto Camp. Italiani e Coppa Italia Powerlifting, cat -93kg) per chiedermi un suggerimento su come tenere attiva e muscolata la catena cinetica posteriore in un periodo di recupero da uno scomodo infortunio. Niente esercizi pesanti, niente che coinvolga il quadricipite.
Sono rimasto impressionato dalla capacità che ha nel gestire il proprio corpo: al leg curl in piedi – esercizio di isolamento puro che probabilmente non aveva neanche mai visto fare! – reclutava le fibre poste esattamente dove gli suggerivo di concentrare l’attenzione.
“Concentrica molto lenta, contrazione, piccola discesa, seconda contrazione, eccentrica controllata ma veloce”. Non c’è stato bisogno di ripeterlo: dinamica perfetta! Ha capito esattamente dove volevo creasse tensione: semitendinoso, semimembranoso. Il bicipite femorale quasi non esisteva.
Dinamica perfetta, scollegato i cavi agli altri muscoli. Non esiste nient’altro fuorché la zampa d’oca.
Credetemi, sono rimasto senza parole: collaboro con molti natural BB di alto livello ma pochi sarebbero capaci di un tale reclutamento selettivo e “a comando”.  DAL TUTTO AL SINGOLO.

Preciso, il BB è molto altro. MOLTO ALTRO. Soprattutto quello agonistico. Lo scrivo perché vedo già l’insurrezione di orde inferocite scagliarsi contro “quelli che fanno PL”, dicendo pensate al vostro che alla cultura fisica ci pensiamo noi.

Nessuno sano di mente consiglierebbe mai di “fare massa” coi programmi di Sheyko o con una astrusa programmazione norvegese.
Non voglio scadere in uno slogan stile americano dove in copertina ti mettono il tipo superfisicato con un sorriso smagliante (che peraltro mi potrebbe assomigliare…), ma per isolare il singolo devi saper coinvolgere il tutto!

Dubitate di chi vi dice che ha ottenuto ottimi risultati (in termini di ipertrofia) senza dedicarsi al miglioramento della propria forza.
Se sono analfabeta, c’è il caso che impari grossolanamente l’Italiano anche leggendo Topolino. Però poi non vado di certo in giro a dire che sfogliare i fumetti sia educativo in senso assoluto nell’apprendere una lingua: migliorare 5 in una scala da 1 a 1000 non è poi un gran risultato…
Fino ad un certo punto vale un po’ tutto: è quando sale il livello che si vede l’efficacia del metodo!
Guardiamoci in giro: dove sono tutti i natural-grossi-e-tirati con bassi livelli di forza? Semplicemente, non esistono.
(Se ne trovassimo uno, sarebbe più unico che raro…)
Se sei davvero forte e sai gestirti sotto carichi ingenti, hai già fatto metà della strada. Altrimenti, devi ricercare come prima cosa quelle qualità necessarie per maneggiare grossi pesi con destrezza e fluidità.

Nel caso in cui dovessi scegliere una categoria da cui attingere per coltivare un’ideale top team di natural bodybuilders, sarebbe certamente quella dei pesisti.
Pesisti da modificare negli allenamenti, nell’alimentazione, nel volume di lavoro, nella frequenza – o forse no? – ma il punto di partenza è quanto di meglio si possa sperare.
Hanno a che fare coi bilancieri per buona parte dell’allenamento e possiedono capacità di attivazione uniche.

“Vedo bodybuilders con scarpe da squat, cintura da powerlifting e calli aperti sulle mani. Vedo il livello successivo della cultura fisica Natural.”

Il sistema nervoso va educato. Deve rispondere ai nostri comandi.

NON è possibile farlo con soli cavi e cavetti, salve rarissime eccezioni in cui la natura ha premiato l’atleta con propriocezione di prim’ordine e connessioni neurali così fini da fare invidia al più maniaco degli ingegneri elettronici. Ma stiamo parlando di gente che avrebbe sfondato in qualsiasi sport in cui la padronanza del corpo è una qualità fondamentale.
NON è possibile insegnare al SNC a sparare con una certa intensità se non coi grandi esercizi base, in cui l’articolazione è messa in totale sicurezza e i muscoli da gestire sono varie decine.
Gestione, controllo, equilibrio con 250 kg sulla schiena: queste le qualità che vanno apprese.

Il corpo è pieno di recettori che ci forniscono continuamente informazioni sulla stabilità/tenuta dei tessuti anche non contrattili, delle giunture. Mai capitato di aver male alla spalla (dal classicissimo capo lungo ci siamo passati tutti, dai…), e accorgersi di non essere in grado di imprimere forza al bilanciere, quasi ci avessero abbassato il voltaggio alla centralina? Non il dolore, è proprio un’ incapacità di generare tensione.  “Spalla non in sicurezza? Caro mio, guarisci e torna qui che poi ne parliamo”, ci dice il sistema nervoso. Ed è così anche se non abbiamo subito infortuni. Il corpo sente una zona instabile… e ci ripaga con minori tensioni generate.

Lo si vede nella panca: assetto classico che comunemente incontriamo, con spalle anteposte = sono arrivato al mio limite genetico! Più di così mi sembra impossibile! Un vero black-out quando arrivo ai carichi importanti. Mi sento impedito nello spingere.
Poi, adduco e deprimo le scapole, e…puff! Il bilanciere schizza via. C’è anche un discorso di leva più vantaggiosa, certo, ma ricordatevi che il corpo si accorge di molte più cose rispetto a quanto percepiamo coscientemente.

Agli appassionati dei metodi intensi e infrequenti vorrei proporre uno spunto di riflessione: siamo proprio sicuri che il cedimento muscolare sia dovuto unicamente a componenti metaboliche locali, all’accumulo di lattato e di altri sottoprodotti della contrazione muscolare? Dobbiamo capire cose vuol dire esaurimento. Non potrebbe avere anche a che fare con la conduzione del segnale, partendo direttamente dalla centralina nel cuore del motore?
Perché iniziamo a tremare con tutto il corpo alla 25esima ripetizione di curl con bicipiti, classico esempio dell’isolamento di un solo distretto? Non è forse per un tilt completo nella conduzione del segnale? Corto circuito elettrico.
Spesso puntiamo il dito contro il singolo distretto muscolare – o la singola fibra! – ma non dimentichiamoci che il sistema nervoso ha una centralina, più o meno allenata a generare impulsi ordinati.

Meglio avete educato il vostro SNC maggiore sarà il limite oltre al quale vi potete spingere.
Allenate il sistema nervoso a rispondere ai vostri comandi SEMPRE E COMUNQUE: l’asticella del cedimento si sposterà sempre più avanti.
Relegate questo lavoro a una piccola parte della stagione, ma fatelo!

Vogliamo rimanere indietro scopiazzando le schede di Dorian Yates o stiamo al passo con i tempi?
Una vecchia e stupida credenza vuole che cultura fisica e Strenght Training siano due mondi totalmente separati, senza possibilità di scambio di opinioni, senza alcun fattore comune. Senza interazione.
Il culturista Natural non ha margine di errore, a differenza dei suoi cugini praticoni: deve sfruttare ogni conoscenza disponibile, attingendo da tutte le realtà in cui l’aumento di massa magra sia un fattore primario.
La pesistica olimpica e la trasduzione delle sue logiche al Powerlifting ci offrono oggi una carta in più per raggiungere il VERO limite nello sviluppo muscolare.

Non fermiamoci ai pregiudizi e prendiamo spunto da quello che si è capito in tutti gli altri sport.

“I pregiudizi, è ben noto, sono più difficili da sradicare dal cuore il cui terreno non è mai stato dissodato o fertilizzato dall’istruzione; essi crescono là, fermi come erbacce tra le rocce.” C.B.


Immagine di sfondo © 2013 Luca Anzalone Photography: www.anzaloneluca.it

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Vi ricordiamo che domenica 13 Aprile 2014 a NAPOLI,  presso l’AVION FITNESS CENTER, Viale delle Mimose, 14 e domenica 04 Maggio 2014 a MILANO, presso il Box REEBOK CROSSFIT BICOCCA – Via Talete, 9 Amerigo Brunetti e il Dott. Francesco Pelizza saranno i relatori del seminario “IPERTROFIA 2.0 – Analisi scientifiche ed evoluzioni pratiche dei processi ipertrofici nella moderna visione del Natural Bodybuilding” insieme ad Alfredo TESSITORE (per la data di Napoli) e Gabriele SAVANT e Davide GIANNICO (per la data di Milano) per parlare di Metodologia, Pianificazione e Periodizzazione dell’Allenamento finalizzato all’ipertrofia muscolare nel Natural Bodybuilding.

Troverete tutti i dettagli qui.

 

Note sull’autore

Amerigo Brunetti - Campione Nord Italia e Vicecampione Italiano 2010 Musclemania. Attualmente studente in Ingegneria Meccanica e Preparatore di Natural Bodybuilding.

NON SAPETE CHI È MIKE TUCHSCHERER?!…

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A cura di Ado Gruzza e Massimiliano Buccioni



Beh, che non sappiate farne lo spelling, credo sia perdonabile. Sono stato un paio di volte a cena con lui e famiglia, ci siamo allenati assieme (parola grossa eh, lui è di un altro che dico pianeta, sistema solare) eppure, ancora, per scrivere questo articolo, cercando di non sbagliare l’ordine alfabetico, ho dovuto controllare sulla sua pagina di Facebook. Per noi latini è davvero una sequenza impronunciabile. Infatti sul telefono l’ho registrato con lo spelling sbagliato: Tushcherer o qualcosa di simile.

Siamo seri: non tutti sanno che Mike è uno dei punti di riferimento MONDIALE dell’allenamento del powerlifting. Leggevo giorni fa un testo di Dan John in cui si utilizzava il suo metodo di valutazione RPE come fosse il modello universalmente accettato. Certo l’RPE non l’ha inventato lui, però l’ha utilizzato lui in maniera estensiva e sviluppandolo attorno ad un modello. Da quel momento, moltissimi hanno abbandonato le % di carico in favore di questa nuova maniera di ‘valutare’ l’entità del carico.

Mike innanzi tutto è un powerlifter di livello mondiale. Ha appena fatto queste alzate:

all’Arnold Classic in un contesto IPF. Cosa fondamentale (il contesto) per determinarne l’effettivo valore. Sfrutto l’occasione per ribadire a chi non è molto avvezzo al mondo del powerlifting agonistico, che se non sono fatti in contesto di federazione internazionale (IPF appunto) i risultati che vedete su Youtube, potrebbero non essere esattamente attendibili. Usando un eufemismo. Come si dice spesso: “Mio cugino fa i 100 metri in 8 secondi. Però non fa i mondiali, perché gli stanno sulle palle quelli della IAAF”. Si: poi vola, anche.

Per chi non fosse pratico con le libbre sono: 335 di squat, 210 di panca piana, e 371 kg di stacco da terra. Tutto RAW.

L’estate scorsa venne a trovarci a Parma, cogliendo l’occasione per visitare il centro città. Mi ricordo che andammo a mangiare in un ristorantino all’aperto, in una piazzetta molto centrale della città, con un compagnia assurdamente mista, si andava da bambini di 2 anni a sfegatati di powerlifting fino a gente che non sapeva la differenza tra un manubrio e un bilanciere.

Ricordo che nel pomeriggio fece un allenamento tipicamente RTS.
Un morbido riscaldamento, poi caricati 290 kg sullo stacco da terra. Ogni alzata monitorata con un apparecchio che ne misura la velocità assoluta e media. Poi, vi spiegherà meglio lui di persona.
Dicevamo 290 kg x 4 ripetizioni. Porca put….!
Senza cintura.
Riposo di quasi 10 minuti.

305 kg x 4 ripetizioni. Sempre senza cintura. Sempre imprecazioni.

Riposo di quasi 10 minuti.

Io mi sarei già fermato a 290 kg, buoni ma pesanti. Pensai, se aumenta il peso, diventa una mattanza dell’ermellino. Invece i 305 sono uguali ai 290 kg. Un trattore che sale in prima. Impressionante.

Ancora 330 kg x 4 ripetizioni. Sempre senza cinta. Leggermente più sofferti, però, non certo come ci potremmo aspettare.
A quel punto, in inglese mi esce una cosa che avevo, strutturato nella mia testa in dialetto misto parmigiano reggiano e cioè: “I think, today, at this time of the day, there are not a lot of people that have done the same effort you did right now, with the same weight”.
In dialetto suonava terribilmente meglio.

Poi due serie di ritorno, così, tanto per gradire 290 kg x 4 x 2 serie. E poi un paio di serie di panca presa stretta. Fine dell’allenamento.

Poca densità, pochissimi esercizi, direbbero quelli che ne sanno: poca massa. Infatti Mike è un colosso di 120 kg senza la minima pancia, con il core più strutturato che abbia mai visto in vita mia.

Ok, grande atleta. Però non solo quello. Di grandi atleti ce ne sono diversi (in realtà di questo livello pochi) in circolazione. Il punto è che Mike è un opinion leader nel mondo del bilanciere. Il suo approccio insolitamente frequente e anticonvenzionale è stato un macigno nel mondo ingessato del powerlifting americano. Al punto di condizionarne in maniera indelebile tutta la new wave filosofica.

Mike ha fatto un passo in più, ha posto nuove problematiche nel mondo del powerlifting, in qualche modo mutandone faccia, per sempre. Da una parte abbiamo i grandi tecnici russi e norvegesi, che dicono poco e hanno approcci strutturati. Dall’altra? Dall’altra parte abbiamo un mondo molto più bravo a comunicare ma a volte poco propenso all’analisi e al ragionamento fine. Mike si è messo in mezzo a queste realtà, con il suo approccio metodico e vagamente meditativo, e fin da giovanissimo ha iniziato a mettere sul campo idee, metodologie, progetti e valutazioni, fino a creare il suo Reactive Training System che senza alcun dubbio è una delle realtà più importanti, a livello mondiale, nel mondo del powerlifting e della forza.

Potrei dire senza troppo timore di smentita, che in ambito powerlifting, escludendo gli approcci dei tecnici, che non pubblicano i loro allenamenti e non hanno blog sul web, sia l’approccio più interessante che esista sul powerlifting, e specifico per questo. .

Sono tantissimi i motivi per cui credo che questo approccio farà innamorare il pubblico italiano. La semplicità di comprensione e allo stesso tempo la ricercatezza dei contenuti sono una delle caratteristiche che ha reso grande tanta scuola di sollevamento dell’est, che in Italia ha tanto successo. Credo che l’approccio di Mike sia un giusto ibrido europeo americano.

Abbiamo la fortuna di avere l’esperienza diretta di Massimiliano Boccioni, docente AIF e atleta nazionale, che per 8 mesi si è allenato seguendo le metodiche di Mike e direttamente seguito da lui. Ecco qual’è stata la sua esperienza:

“Cari lettori di AIF, è difficile narrare in poche righe un’esperienza di allenamento così significativa. Quello che spero è di suscitare in voi curiosità e voglia di approfondire l’argomento, perché è davvero interessante. Come scrive Ado, siamo di fronte ad uno straordinario atleta che ha saputo tradurre il suo enorme talento in strumenti utili a tutti. L’analisi e la sintesi che propone per approcciare il tema della forza sono forse quanto di più avanzato esiste sul “mercato” occidentale dei vari portali. Ora, non vi aspettate una descrizione minuziosa del sistema RTS, non si può fare in questo contesto. Dovete ascoltare Mike, approfondire e soprattutto, allenarvi con i paradigmi dell’RTS. Voglio però lasciarvi alcuni spunti di riflessione su ciò che ha costituito la mia esperienza.

Primo: “la liberazione dalla nevrosi della percentuale” La stragrande maggioranza dei metodi prevede la descrizione della programmazione in serie e ripetizioni a una data percentuale del carico massimo. Bene, questo ha i vantaggi ovvi di un linguaggio intellegibile a tutti, con però uno svantaggio intrinseco. Se in un dato giorno non siete al top, il che è normalissimo, e fate un 4×4 al 70%, la percentuale effettiva che state somministrando al vostro sistema-corpo è come minimo superiore.

Basta questo per dire che seguire una metodologia in maniera maniacale non è molto di più che lenire i vostri sensi di colpa in merito all’aver fatto il compitino. Alla lunga ciò non paga. Analogamente si può parlare del gear. Fatto 100% il max di squat attrezzato, cosa vuol dire fare 4 doppie all’80%? La risposta è ovvia, ma è probabile che chiunque esegua le doppie con costume lento e bretelle giù. Ancora una volta la percentuale effettiva può essere diversa da quella teorica. E non di poco! Ebbene, nessuno tra i trainer “tradizionali”, neanche i top player, sa dare una risposta a questa obiezione. In genere si considera solo il carico nel suo senso estrinseco, assoluto. Aperta e chiusa parentesi: solo questa piccola cosa basta per far riflettere su quanto siamo fortunati in Italia, certe cose almeno in nuce grazie ad alcuni “visionari” le sappiamo da un po’…

Il powerlifting moderno ci pone in un contesto complesso di gestione del carico, sia nel raw che nel geared. Mike T lo affronta in maniera intrinseca: il carico si valuta con ciò che si percepisce attraverso una serie di osservazioni distinte, fino a comporre una visione unitaria. A tal proposito mi torna alla mente una cosa che mi ha detto un allenatore di recente: “I need results, not feeling”. Questa apparente critica indiretta ma radicale al metodo RTS, allo sforzo percepito, si risolve facilmente con una cosa sola: la pratica. Quando il vostro feeling sarà affidabile, beh, l’ascolto della propria reazione, sotto l’occhio vigile di coach, produrrà solo risultati positivi. Posso dirvi che ho impiegato circa 6 mesi per maturare una percezione affidabile dei carichi, più legata ai fattori davvero cogenti. Qualche settimana serve a poco o nulla.

Secondo: “il tramonto del Superman che è in noi” Lo so, suona anche questo un po’ slogan, ma aspettate. Quante volte avete visto un vostro amico, o voi stessi, andare in palestra, pensare “oggi faccio 5 colpi con 140 kg di panca” e il risultato è stato una ripetizione decente, una stiracchiata e tre con 70 kg perché gli altri 70 li faceva di stacco a gambe tese il vostro spotter? Ah dimenticavo, naturalmente senza fermo al petto. Beh, tutto questo, se prendete un minimo sul serio i paradigmi dell’RTS e li usate, si scioglierà come neve al sole. Credo di non aver sentito nessuno insistere sulla qualità più di Ado. Ebbene, proprio l’RTS vi darà una percezione realistica del vostro potenziale, sia nel breve che nel medio-lungo periodo. Quando darete il voto vero allo sforzo che avete appena fatto, non cadrete più nell’errore di sentirvi Superman, e di converso, non avrete più paura di prendere in mano la criptonite e essere debolissimi, perché di fatto non esiste. Ad una data seduta di allenamento farete le vostre tripe qualitative, spingendo fino al carico che vi consentirà di tenere un certo buffer e un assetto tecnico corretto. Qualcuno sente risuonare il MAV. Sì e no, ci sono analogie, ma anche sostanziali differenze. Il prossimo convegno sarà l’occasione per porre a Mike le domande corrispondenti.

Terzo: “il picco di forma, questo sconosciuto” Non tutti hanno la fortuna di avere lo sguardo di un allenatore bravo addosso. Per cui si tribola molto ad azzeccare il picco di forma per una gara, ma anche solo per un test. Come si pone l’RTS? Attenti, l’RTS crede molto all’intensità. L’intensità è ciò che determina gli effetti dell’allenamento. Il volume determina la “magnitude” degli effetti. Questo concetto è chiave e dovete capirlo bene dalla viva voce di Mike. Ma ha un risvolto pericoloso. La soggettività di ogni atleta per il raggiungimento del picco di forma farà sì che ognuno dovrà utilizzare un approccio al tapering differente, perché non ce ne sarà uno confezionato e blindato come, ad esempio, nei metodi del guru di Ufa (Sheiko, NdT). Ci sono indicazioni di massima, ma sarà la maturità con cui si gestiscono i vari parametri che farà la differenza. Alcuni infatti molto neurali arrivano pesanti fin quasi sotto gara. Cosa a mio modo di vedere rarissima e pericolosa. Altri necessiteranno di un tempo congruo per recuperare tutte le forze e arrivare in pedana freschi di mente e di corpo. Insomma, un altro aspetto da capire bene, che se però si riesce a mettere in pratica con un certo grado di arte, produrrà sicuri effetti.

Concludo per evitare di cadere nella logorrea. L’RTS vi stupirà per l’immediatezza dei suoi concetti ma anche per la complessità del loro articolarsi insieme. È l’approccio all’allenamento della forza più marcatamente artistico che conosco, cioè un connubio di arte, nel senso di “tecnica”, la capacità di produrre un risultato con delle tecniche empiriche, e scienza, nel senso di osservazione sperimentale dei fenomeni. Insomma: concetti, non pre-concetti, osservazione, non pregiudizio. Lasciamo stare le tabelle di carico indicative, la fatica come percezione per regolare il volume, gli split settimanali, la forte propensione alla multifrequenza ecc ecc tutte cose che ascolterete al convegno, dal vivo, dalla voce di Mike, vedrete che sarà per ognuno di voi una piccola grande rivoluzione e ne sarà valsa davvero la pena.”

Vi ricordiamo che Mike Tushcherer sarà presente in ESCLUSIVA per l’AIF domenica 06 aprile in qualità di docente a “Building a Strength Expert” – 2° Corso Avanzato FIPL per Istruttori di Powerlifting .

Quota di iscrizione alla sola giornata di lezione tenuta da Mike Tushcherer:

> € 130,00;
> Trainer FIPL (di tutti i livelli) SCONTO 15%€ 110,00.

Ricordiamo a tutti gli interessati che il pagamento dovrà essere effettuato ESCLUSIVAMENTE a mezzo Bonifico Bancario Anticipato alle seguenti Coordinate Bancarie:

CASSA PADANA BCC - Filiale Taneto Di Gattatico
cc intestato a A.S.D. ACCADEMIA ITALIANA DELLA FORZA
IBAN: IT35 B083 4066 3400 0000 0096 860

NON VERRANNO ACCETTATE iscrizioni sul posto e in contanti.

Dopo aver effettuato il versamento preghiamo gli iscritti di inviare una mail:

  • avente ad oggetto “ISCRIZIONE AL WORKSHOP DI MIKE TUSHCHERER
  • contenente i proprio dati anagrafici: Nome /Cognome/Luogo e Data di nascita
  • recante in allegato copia Pdf o Jpg della ricevuta di pagamento in proprio possesso

al seguente indirizzo: iscrizioni@accademiaitalianaforza.it

Per maggiori informazioni cliccare qui

FALEEV 2.0: DA INFREQUENTE A FREQUENTISSIMO!

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a cura di Alessio Ferlito


Il metodo di allenamento proposto da Alexander Faleev è decisamente uno di quelli che mi piace di più, semplice e lineare! (Non a caso, il primo articolo in cui ne parlavo lo avevo intitolato proprio così!…).

Per chi non conoscesse il metodo in questione, un breve sunto. La programmazione si basa su una approccio molto elementare, così divisa:

> Lunedì: Squat – schema
> Martedì: Panca – schema
> Mercoledì: Stacco – schema
> Giovedì: Squat – tecnica
> Venerdì: Panca – tecnica

Il giorno dello “schema” si deve eseguire un 5×8, partendo da un ipotetico 60%, aumentando di seduta in seduta il carico utilizzato solo quando non si riesce a completare con successo il set/rep proposto e passando ad un 5×7 (poi 5×6 e infine 5×5), solo quando non si è più capaci di chiudere il suddetto per un numero eccessivo di sedute (in generale suggerisco 3). La seduta tecnica è di mantenimento, si esegue un 4×4 con il 60% del peso principale.

La versione di Pavel

Pavel Tsatsouline ha proposto una versione alternativa di questo schema, forse più famosa dell’originale, tanto che se qualcuno avesse Googlato qualche anno fa avrebbe trovato solo questa. La versione di Pavel non è molto distante, ma ha un approccio che voglio citare perché riguarderà poi la “mia” versione del programma.
Mantendo lo schema settimanale proposto da Faleev, Tsatsouline consiglia un approccio basato su un 5×5 e su un 5×4 con l’80% del peso usato il giorno dello “schema” come giornata tecnica. Leggermente più voluminoso e pesante il giorno tecnico, ma l’idea è quella. Si tratta solo di numeri.

Faleev 2.0

Salta all’occhio sicuramente una cosa: il Faleev è un metodo decisamente infrequente. Se è un approccio che consiglio senza pensarci più di tanto ad un non agonista che può allenarsi poco, o magari spesso, ma con limiti di tempo, come si fa a rendere questa versione più interessante per chi può allenarsi di più e vuole qualcosa di più frequente? L’idea che mi è venuta altro non fa che racchiudere in una settimana quello che faremmo in due.

Mi spiego, ecco la mia proposta per un Faleev frequentissimo!

Lunedì
> Squat – Schema
> Panca – Schema

Martedì
> Squat – Tecnica sul carico di lunedì
> Stacco – Schema
> Panca – Tecnica  sul carico di lunedì

Giovedì
> Squat – Schema
> Panca – Schema

Venerdì
> Squat – Tecnica sul carico di giovedì
> Stacco – Tecnica sul carico di martedì
> Panca – Tecnica  sul carico di giovedì

Facendo così abbiamo raddoppiato ogni alzata.

Il lunedì è la giornata classica dello “schema”, manteniamo su Squat e panca l’approccio classico di Faleev partendo dal 5×8.

Il martedì è la giornata invece dedicata allo schema dello stacco e alla tecnica di Squat e panca. Ho deciso di inserire lo squat come primo esercizio perché, come saprà chi ha letto il breve capitolo che ho scritto per Ado Gruzza nel suo libro “Il Metodo Distribuito”, considero lo Squat un esercizio basilare per ogni seduta. In questo caso poi il volume e le % di approccio sono talmente basse da permettere di tenerlo senza problemi, tanto da essere un vero e proprio riscaldamento allo stacco.

Per quanto riguarda questa alzata consiglio l’approccio di Tsatsouline, per due motivi:

  1. 8 ripetizioni nello stacco sono tante… veramente tante. Troppe. Cardio!
  2. Lo stacco in questo schema è l’alzata che si allena meno, quindi ci andrei più pesante (seppure sia un pesante relativo, ovviamente).

Per quanto riguarda la panca e lo Squat invece consiglio un “mix” dei due metodi:

  • giornata schema: 5×8 classico;
  • giornata tecnica: 6x4x80% del peso utilizzato il giorno dello schema.

La giornata tecnica in molti casi, specie nella panca, rischia di essere veramente leggera. Questo non è necessariamente un male, ma per rendere la seduta più interessante possiamo utilizzare qualche variante di panca, a me piaceva eseguire la panca con una presa più stretta e con i piedi sulla panca, in modo da lavorare  di più sul settaggio delle scapole e sul migliorare la posizione del petto. Nulla vieta di stare sulla classica panca.

Quando aumento il carico?

Dato che l’ho spiegato un po’ di fretta, ritorniamo sullo schema di Faleev. Partendo dal 5×8 e aumentando di seduta in seduta fino a che riusciamo, qualora cominciassimo ad essere al limite, Faleev non suggerisce di chiudere il 5×8 scalando il peso, bensì di diminuire le ripetizioni, trovandosi magari a chiudere un 3×8 – 7 – 6.

Arriverà un momento in cui non si potrà più chiudere un 5×8, sarà allora il momento di passare ad un 5×7, seguendo le stesse logiche, per passare poi ad un 5×6 e infine ad un 5×5.

Come fare con il 5×5 nello stacco? Stesso approccio, passando per un 5×4 e un 5×3. Questo non credo venisse suggerito da Tsatsouline, ma la ritengo un’ottima scelta.

Per quanto riguarda invece l’aumento di peso, suggerisco di aumentare il peso sul bilanciere dopo almeno 3 sedute, quindi, potenzialmente, ogni settimana e mezzo.

Complementari

Faleev, così come poi Tsatsouline, suggerisce di non utilizzare complementari. Io mi sento un po’ più alternativo e mi sento di proporre qualche lavoro ausiliario da fare a fine seduta. Fermo restando che quasi sempre, idea rubata dalle schede di Wolf che si trovano in rete, consiglio di cominciare la seduta con addominali e iperestensioni, a fine delle sedute possiamo trovare qualcosa da fare.

Il giorno A-C, quello di soli squat e panca, possiamo sicuramente introdurre un lavoro per la schiena. Io suggerisco sempre trazioni, quasi per partito preso, ma anche rematori, facepull o qualsiasi complementare per dorsali o alta schiena vanno benissimo. Se vogliamo mettere anche un esercizio per le braccia facciamo qualcosa per i bicipiti e via.

Il giorno B-D è forse più complicato inserire qualcosa, ma suggerirei un leggero complementare per la panca. Un esercizio a scelta tra panca inclinata 45° con manubri (ultimamente ho molto rivalutato questo esercizio, magari in isocinetica), dip alle parallele o lento avanti va benissimo. Ovviamente, a parte nel lento avanti, dove ritengo la scelta più facoltativa, su dip e panca inclinata non spingete troppo. Se vogliamo dare dei numeri, un approccio stile max-75-50 lo trovo ottimale per le dip e nelle dip un bel “pendolo” con i manubri.

In generale ultimamente trovo molto più sensato rubare tempo ai complementari per dedicarsi a stretching e all’uso del foam roller, perciò i complementari potete farli, ma non li ritengo essenziali.

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